Romanzo Quirinale, capitolo II

Il grande gioco del Quirinale si è arricchito di un nuovo capitolo dopo che in settimana due senatori del Pd (Zanda e Parrini) hanno presentato una proposta di legge per inserire in Costituzione il divieto di eleggibilità del capo dello Stato dopo un mandato e l’abolizione del semestre bianco.

Il provvedimento punta a modificare due articoli chiave della Carta (i numeri 85 e 88), anche se stando al racconto dei retroscenisti il suo vero intento sarebbe stata la volontà di convincere il presidente Sergio Mattarella ad accettare una rielezione a tempo fino all’approvazione della riforma – che non potrebbe arrivare prima del 2023, dunque in concomitanza con la conclusione dell’attuale legislatura.

Dal Colle sono trapelati lo stupore e l’irritazione del presidente verso una manovra reputata quantomeno contorta che conferma, se mai ve ne fosse stato bisogno, come la conferma o meno dell’attuale capo dello Stato sia uno dei grandi nodi su cui si giocherà la partita d’inizio anno. Se non il principale.

Mattarella aveva già ribadito di non essere disposto a svolgere un secondo mandato e che l’eccezionale precedente di Giorgio Napolitano non può diventare la consuetudine. Eppure ciò non ha fatto desistere alcuni attori politici dal tentare comunque la via più agevole in vista dell’insidioso voto di gennaio. Quella che per l’appunto prevede la sua rielezione.

Il profilo del prossimo presidente della Repubblica si lega in maniera davvero indissolubile alla permanenza in carica dell’attuale governo e alla durata della legislatura. Un fatto noto che spiega l’avventatezza di certe mosse. Pochi giorni fa il segretario Pd Enrico Letta ha ammesso che se nel voto per il Quirinale si dovesse spaccare la maggioranza, ciò potrà significare anche la fine del governo stesso.

Il che fa sorgere un paradosso: i partiti e i leader che sostengono di lavorare per tenere in vita il governo Draghi fino al 2023 hanno anche l’onere di cominciare a dire chi potrebbe realisticamente ottenere una larga maggioranza in Parlamento, per superare indenni le forche caudine rappresentate dai sabotatori e dai franchi tiratori in agguato nello scrutinio segreto.

In ballo dovrebbe esserci la necessità di stabilire un metodo comune per evitare pericolosi avvitamenti parlamentari in una fase ancora molto delicata per la vita del paese. Oltre a quella di condividere priorità politiche e istituzionali. Sarebbe assai singolare che un’alleanza che annuncia di voler stare insieme per un altro anno pur di sostenere il governo di unità nazionale del primo ministro Draghi finisca invece per dividersi e per farsi la guerra sul nome del futuro capo dello Stato.

Decidere di sgomberare il campo dai candidati di bandiera non sarà affare indolore o impresa da poco. Per esempio, per il centrodestra ciò significherebbe scartare l’ipotesi di un’elezione di Silvio Berlusconi – che è a soli cinquanta grandi elettori di distanza dall’agognato traguardo ma che rappresenta il candidato presidenziale più divisivo fra quelli proposti finora.

In un mondo perfetto i capi della maggioranza potrebbero convenire che forse, giunti a questo punto, la scelta migliore sarebbe di lasciare Draghi al suo posto di capo di governo e concentrarsi sul nome del presidente della Repubblica. Ciò avrebbe effetti benefici sul futuro della legislatura e darebbe più tempo all’esecutivo per mettere a terra le riforme per cui è stato chiamato a Palazzo Chigi, oltre che per continuare la battaglia contro la pandemia.

Secondo svariati osservatori, invece, i veri problemi cominceranno proprio nel momento in cui le forze politiche dovranno mettersi assieme per eleggere il nuovo presidente. Il rischio di un muro contro muro, insomma, è alto.

Infine non si può non tenere conto di almeno altri due fattori il cui impatto sarà determinante nell’orientare l’esito della partita. In primo luogo cosa risponderà Draghi ai tanti corteggiatori che lo vorrebbero al Quirinale, anche per chiudere la fase di coabitazione forzata a Palazzo Chigi che ha spogliato le leadership politiche del loro ruolo tradizionale.

In secondo luogo va considerato l’atteggiamento degli Stati Uniti, nostro protettore e garante, per cui il profilo dell’inquilino del Quirinale ha un peso rilevante sulla collocazione geopolitica dell’Italia nell’impero americano. E che per questo motivo non mancheranno di farsi sentire in una partita tanto delicata.