Il rango dell’Italia e le conseguenze della guerra

Una delle conseguenze più evidenti della guerra in Ucraina è il ridimensionamento del ruolo dell’Italia in Europa in un anno che avrebbe dovuto sancirne il recupero d’influenza politica dopo un lungo periodo di appannamento.

Eventi concomitanti quali le elezioni presidenziali in Francia, dove Emmanuel Macron è (era?) atteso da una difficile partita per la rielezione, e l’avvento del nuovo cancellierato di Olaf Scholz in Germania, conclusa la stagione di Angela Merkel, sembravano poter costituire un’occasione irripetibile per lucidare il rango italiano nel Vecchio Continente.

L’idea, rivelatasi poi un abbaglio, era che il presidente del Consiglio Mario Draghi avrebbe fatto valere tutta la sua autorevolezza e il suo prestigio internazionale per rilanciare l’Italia nei tavoli che contano. A cominciare dal negoziato sull’interpretazione del Patto di stabilità del 2022, dove Roma e Parigi puntano a contrastare le ipotesi di regressione all’austerità che serpeggiano a Berlino e fra i soci nordici.

Invece lo scoppio della guerra ha rimescolato le carte, spazzando via ogni prospettiva d’italico protagonismo. Oltre a rafforzare la tesi dell’inconsistenza dell’Unione Europea davanti alle crisi che minacciano gli interessi dei singoli Stati-membri, il conflitto ha confermato l’Italia nella sua proverbiale marginalità continentale. Quel che è peggio, l’incapacità di rientrare nelle partite decisive a livello europeo stride in maniera piuttosto evidente con la presenza a Palazzo Chigi di un capo di governo che era stato acclamato da tutto l’Occidente per le sue doti taumaturgiche.

L’impressione è che i nostri partner, a cominciare dall’asse franco-tedesco e con buona pace dei poteri di Super Mario, siano fortemente riluttanti a inserire Roma nelle decisioni fondamentali del consesso euro-atlantico ora che il continente è attraversato dai venti di guerra. Giunti a questo punto, è lecito chiedersi come mai.

Il Belpaese ha coltivato per anni l’illusione di poter considerare le sue principali organizzazioni sovranazionali di riferimento e di appartenenza – Nato e Ue – come dei fini in sé e non come dei mezzi per raggiungere un obiettivo. Campionessa mondiale di mimetismo opportunamente declinato in “multilateralismo”, l’Italia non poteva sperare di essere chiamata a sedersi faccia a faccia con delle potenze vere, sia pure in grave crisi o declino, senza sapere ciò che vuole. È il dramma di chi ha perso da tempo ogni ricordo della cultura dello Stato e con essa anche il senso dell’interesse nazionale – senza cui è impossibile reggere il confronto nel pianeta senza regole, dove ognuno pensa a sé stesso.

Escluso dai tavoli che contano, il presidente del Consiglio non si è perso d’animo e ha convocato a Roma un summit tattico con i paesi del Mediterraneo per far valere il punto di vista italiano quantomeno nella delicatissima partita del gas. L’obiettivo è di arrivare al Consiglio Europeo di Bruxelles del 24-25 marzo (concomitante al vertice Nato cui parteciperà in persona anche il presidente Usa Joe Biden) con una posizione comune fra Italia, Spagna, Grecia e Portogallo.

Oggi i tanto vituperati “Pigs” della crisi dell’euro vantano una posizione geografica invidiabile per intercettare i rifornimenti di idrocarburi provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente, il cui apporto è considerato cruciale per consentire agli europei di sganciarsi dalla dipendenza dal gas russo. Presentarsi a Bruxelles come il rappresentante dei paesi dell’area potrebbe essere un buon viatico per provare a trarsi dall’angolo diplomatico in cui ci ha confinati la crisi ucraina, oltre che per abbozzare una parvenza di politica mediterranea che il nostro paese aspetta da decenni.

Contestualmente il primo ministro Draghi ha annunciato un suo prossimo viaggio negli Stati Uniti dopo l’incontro a Roma con il Consigliere per la sicurezza nazionale americano Jake Sullivan. Il funzionario della Casa Bianca aveva appena incontrato nella capitale italiana il direttore per l’Ufficio per gli affari esteri del Comitato centrale del Partito comunista cinese Yang Jiechi, per discutere della guerra in Ucraina e dei rapporti sino-statunitensi.

Il vertice potrebbe tornare utile all’Italia se si fosse concluso in maniera positiva (non ne è stato reso noto l’esito) o almeno non malamente come accaduto in occasione del disastroso incontro di Anchorage nel 2021. L’obiettivo del governo italiano è dimostrare a Washington di poter contribuire al faticoso dialogo con Pechino, dalla quale ha preso le distanze (soprattutto sul fronte tecnologico) poco dopo aver frettolosamente aderito alle nuove vie della seta con il primo governo guidato da Giuseppe Conte.

Rinsaldare l’asse con gli Usa servirà a non perdere ulteriori posizioni in Europa e a gestire con maggiore serenità la delicata fase connessa all’annuncio della fine dell’emergenza Covid e l’inizio dell’emergenza legata alla guerra in Ucraina. Dopo quasi un mese di combattimenti, il conflitto sembra essere in grado di congelare con le sue conseguenze le spinte alla ripresa. Il caro-bollette rischia di trasformare radicalmente lo scenario nazionale, esponendo una buona parte del comparto produttivo allo spettro di una sospensione delle attività e inducendo i consumatori a rivedere la loro disponibilità alla spesa.

Nella conferenza stampa in cui è stato annunciato il taglio delle misure di prevenzione, Draghi ha ammesso che il prezzo della guerra scatenata dal Cremlino potrebbe rivelarsi ben più salato di quanto finora non sembri, specialmente per gli europei.