Intesa sulla legge di Bilancio, bagarre sulla legge Zan
Il governo del primo ministro Mario Draghi ha presentato la legge di Bilancio 2022, con misure per circa 30 miliardi complessivi. L’atteso provvedimento contiene un tema di forte interesse generale quale il taglio strutturale delle imposte e altri importanti interventi che rompono con le politiche di spesa più recenti.
Il capo dell’esecutivo ha saputo mediare fra le diverse anime della maggioranza per scongiurare strappi e condurre in porto il testo della finanziaria, salutata come una manovra di svolta che segna il passaggio dalla logica dei ristori a quella dello sviluppo e della crescita di medio periodo. Dettaglio affatto secondario per un Paese che mai come in questo momento ha la priorità di consolidare la sua ripartenza dopo essere stato fiaccato dalla piaga pandemica e da decenni di mancate riforme.
In materia di riduzione delle tasse verrà creato un apposito fondo pluriennale da 12 miliardi (di cui 8 per l’avvio della riforma), le cui modalità saranno definite nel corso dell’iter parlamentare della manovra. Palazzo Chigi vorrebbe dare la priorità al taglio di Irpef e Irap, ma sarà il negoziato con Parlamento e parti sociali a stabilirne l’effettivo orientamento.
Sul punto è facile prevedere che mentre il centrodestra chiederà un intervento sulle attività produttive, centrosinistra e sindacati spingeranno soprattutto per una modifica al cuneo fiscale. A prescindere dall’esito della discussione, ciò che rileva è il fatto che con questa mossa il governo sembra volersi lasciare alle spalle la stagione degli interventi emergenziali – leggasi: con pacchetti chiusi calati dall’alto – per ridare lustro al dibattito politico.
L’altra grande caratteristica della manovra riguarda la “normalizzazione” dell’eredità economica del primo esecutivo Conte. Il riferimento è naturalmente a quota 100 e al reddito di cittadinanza, i due provvedimenti-bandiera dell’esperienza di governo congiunta Lega-M5s di cui molto si è discusso in questi anni. A cominciare dalla loro effettiva capacità di soddisfare le logiche che li avevano ispirati.
La riforma delle pensioni è stata superata senza provocare rotture con il partito di Matteo Salvini (al suo posto arriva “quota 102”, ma solo per il prossimo anno) mentre il reddito viene trasformato da sussidio indiscriminato a strumento per l’inserimento nel mercato del lavoro. Con un sistema più rigoroso di controlli e un calo progressivo nella sua erogazione per chi rifiuta la prima proposta di impiego.
Nonostante il pressing del centrodestra per un segnale forte anche sulla misura del M5s e un mini-scontro fra gli alleati andato in scena prima del Consiglio dei ministri decisivo, la difesa pentastellata e soprattutto la volontà del primo ministro di non affossare la misura si sono rivelate decisive. Secondo Draghi, difatti, al reddito va riconosciuto il parziale merito di essere stato un elemento di tenuta sociale nella fase più dura della pandemia nonostante le sue ben note storture.
Al netto di quanto sopra, il clima di sostanziale armonia fra i partner di maggioranza sulla legge di Bilancio – segnalato da un inedito e liberatorio applauso corale all’approvazione della manovra – fa da contraltare al violento scontro politico inscenato sulla legge Zan, il provvedimento contro l’omotransfobia caduto mercoledì in Senato sotto i colpi dei franchi tiratori.
La vicenda ha certificato la possibile esistenza di una maggioranza alternativa a quella che aveva retto il secondo governo di Giuseppe Conte, un fatto che secondo taluni costituisce persino un’anticipazione dell’elezione del prossimo capo dello Stato. Al contempo, ha innescato un feroce dibattito sulla direzione in cui (non) intende muoversi l’Italia in materia di tutela dei diritti civili che vede coinvolte fette rilevanti della pubblica opinione.
Sul piano politico il dato che emerge con forza riguarda l’implosione del nuovo e grande Ulivo immaginato dal segretario Pd Enrico Letta. Nelle intenzioni del proponente, questo soggetto avrebbe dovuto federare le forze moderate, di centrosinistra e i Cinquestelle per battere il centrodestra e sembrava aver ricevuto un incoraggiante battesimo del fuoco col trionfo alle elezioni comunali d’inizio mese.
L’intervento dei franchi tiratori sulla legge Zan, invece, ha rimesso tutto in discussione – scatenando una valanga di accuse incrociate su chi sia il vero responsabile della sconfitta di mercoledì e gettando un’ombra sulle prospettive del centrosinistra nella corsa per il Colle. A patirne di più sono i rapporti fra Pd e Italia Viva, che sprofondano come nemmeno era successo dopo il crollo del secondo governo Conte.
Ma ne escono scossi anche quelli fra i Dem e Forza Italia, ritenuta sino a questo momento l’avversario più responsabile in ottica quirinalizia, mentre nel M5s si riaccendono i dubbi sull’effettiva capacità della leadership di tenere sotto controllo il voto dei parlamentari. Dal momento che tutte le votazioni sul successore di Sergio Mattarella saranno segrete, nel centrosinistra il timore di subire la promozione di un candidato sgradito è massima.
Nel frattempo sta per prendere il via a Roma l’atteso G20 a presidenza italiana. È un summit privo di cogenza, che conterà solo nella misura in cui consentirà ad alcuni dei principali leader mondiali di incontrarsi bilateralmente lontano dai riflettori. Nato come forum internazionale centrato sul mondo placido d’inizio Millennio, oggi il G20 è semplicemente incapace di incidere sulle partite che segnano la pelle del pianeta. Prova ne sia il computo delle defezioni (Cina, Russia, Giappone e Messico), che pesano quasi quanto le presenze.
Ciononostante, l’incontro rappresenta un’importante vetrina scenografica per il primo ministro Draghi, che vede la possibilità di consolidare la sua leadership in ambito europeo ora che Angela Merkel è prossima all’addio dalla Cancelleria tedesca ed Emmanuel Macron deve fare i conti con l’imminenza delle elezioni presidenziali francesi.