Pace armata nei Cinquestelle
Al culmine di un’altra settimana di fuoco, Beppe Grillo e Giuseppe Conte hanno siglato una precaria pace armata con l’intento di guadagnare tempo in vista del confronto finale o del conseguimento di una difficile intesa. La tregua ha permesso ai pontieri Luigi Di Maio e Roberto Fico di adoperarsi come possono per ricucire uno strappo che però, giunti a questo punto, appare davvero insanabile.
Proviamo a riavvolgere il nastro. Dopo lo show del comico genovese nell’aula dei gruppi di Montecitorio di settimana scorsa, lunedì è stata la volta dell’ex primo ministro passare al contrattacco in una conferenza stampa seguitissima anche via web. Conte ha lanciato un vero ultimatum, esigendo per sé una leadership forte ed esclusiva e dichiarandosi ancora una volta contrario allo schema del doppio-leader caro invece a Grillo.
La replica non si è fatta attendere. Per il fondatore del Movimento l’ex capo del governo non avrebbe né la visione politica, né le capacità manageriali necessarie a guidare il rilancio dei 5 Stelle. Svolta semplicemente paradossale se è vero che giusto pochi mesi fa era stato proprio lo stesso Grillo a rivolgersi a Conte affinché assumesse le redini della sua creatura politica nel momento più buio della sua breve storia. Il garante ha poi indetto una consultazione in rete degli iscritti al M5s per eleggere il nuovo comitato direttivo, da tenersi sulla piattaforma Rousseau.
L’annuncio di Grillo ha aperto subito un altro fronte di scontro, stavolta con il reggente Vito Crimi – reo di aver convocato il voto sulla piattaforma Sky Vote, messa in piedi nelle scorse settimane con la consulenza di due diverse società esterne al Movimento. L’attuale Statuto stabilisce che si deve utilizzare Rousseau sia per il voto che per la verifica dei votanti: per questo la mossa di Crimi rischia di aprire un nuovo contenzioso giudiziario dall’esito imprevedibile.
Così, dopo preso atto che fra le altre cose sfiduciare Grillo è sostanzialmente impraticabile (anzi: mission impossible ai sensi dell’attuale Statuto), per Conte e i suoi sostenitori l’opzione più semplice per uscire dall’empasse potrebbe essere solo la scissione. Del resto, da quando è esploso lo scontro sulla leadership del Movimento, la frammentazione del primo gruppo del Parlamento in tanti sottogruppi e correnti interne ha vissuto una prima e drammatica semplificazione: chi sta con il comico genovese e chi con l’ex premier.
La conta è già partita e i numeri sono in costante aggiornamento. Il fondatore potrebbe contare su una novantina scarsa di parlamentari, concentrati soprattutto alla Camera, al pari dell’ex primo ministro, che però avrebbe il suo punto di forza nel maggior seguito al Senato. A Palazzo Madama il grosso dei senatori cinquestelle è infatti al secondo mandato e con Grillo a capo del Movimento non avrebbero chance di essere rieletti, visto che rimarrebbe in piedi anche il limite dei due mandati.
I sondaggi d’opinione assegnano al partito di Conte fino al 15% di gradimento, una percentuale rilevante e soprattutto attraente che verrebbe raggiunta sottraendo consensi proprio al M5s (che rischia così di scivolare sotto quota 10%) e al Partito democratico (che cadrebbe al 14%). Il capo di governo della prima fase della pandemia vanta infatti un indice di fiducia ancora altissimo (44%), inferiore soltanto ai due pilastri dell’attuale architettura istituzionale: i presidenti Mattarella e Draghi.
Tralasciando per un momento un altro fronte di scontro potenzialmente rovente (quello dei 12,6 milioni di euro di rimborsi ai gruppi parlamentari che foraggiano l’attività politica grillina e che andrebbero divisi tra chi sta con Conte e chi sta con Grillo), la nascita di un eventuale partito di Conte si farebbe sentire anche sugli attuali equilibri di maggioranza. L’indebolimento dei gruppi parlamentari grillini – a oggi i più forti alla Camera e al Senato – farebbe crescere l’importanza delle forze di centrodestra nella composita coalizione che sostiene il governo Draghi.
Ma è soprattutto sulla corsa al Colle che si abbatterebbe con maggiore forza l’onda d’urto dell’esplosione dei 5 Stelle. La grande incognita in vista del prossimo anno riguarda infatti chi sarà il “kingmaker” della politica italiana capace di gestire la seduta comune di Camera e Senato, indirizzando il consenso dei parlamentari verso l’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Un indizio in questo senso è nel rammarico del segretario Pd Enrico Letta per gli accordi con Conte buttati al vento dalla crisi dei Cinquestelle.