I nomi scelti dal governo Meloni

Dopo diversi giorni tra colloqui, incontri e scontri, veti e limature, mercoledì si sono chiuse le attese liste dei Consigli di amministrazione di alcune delle più grandi e rinomate aziende a partecipazione statale. Per Eni, Enel, Leonardo, Poste e Terna la partita si è conclusa. La rosa delle nomine presentata dal Governo vede diverse riconferme a cui si accompagnano alcuni volti nuovi: Giuseppe Zafarana e Claudio Descalzi a Eni, Paolo Scaroni all’Enel, Igor De Biasio a Terna, Stefano Pontecorvo e Roberto Cingolani a Leonardo, Silvia Rovere e Matteo Del Fante a Poste. Tre le novità più significative e “vistose” rispetto ai pronostici delle ultime settimane. La prima sicuramente quella di Flavio Cattaneo come AD di Enel, da annoverarsi tra le vittorie della Lega. La seconda vede Giuseppina Di Foggia come AD di Terna, la prima donna che conquista uno dei vertici delle big quotate e uno dei punti su cui la Meloni si è maggiormente battuta, come promesso a suo tempo. L’ultima, conseguenza indiretta delle prime due, vede l’esclusione dalla partita di Stefano Donnarumma, che per volere del leader della Lega non è stato né confermato AD di Terna né promosso a guida di Enel, come invece auspicava la Premier. Il caso di Donnarumma è stato uno degli oggetti al centro del braccio di ferro tra gli alleati, sui cui però la Presidente del Consiglio è stata costretta a fare un passo indietro.

La Meloni tiene comunque a sottolineare come «le nomine sono state frutto di un attento percorso di valutazione delle competenze e non delle appartenenze politiche» e proprio per questo, aggiunge la Premier, senza però entrare nel dibattito su vincitori e vinti, risultano essere «un ottimo lavoro di squadra del governo». Eppure non è un segreto come ci sia stata una trattativa lunga che ha visto impegnati gli alleati su più fronti prima di raggiungere l’agognata mediazione.

Un passaggio chiave per la legislatura, quello delle nomine delle partecipate, che segna un doppio test: uno per la stabilità dell’esecutivo Meloniano, ancora una volta confermata, e l’altro invece per la Lega che, muovendosi in tandem con FI, è riuscita a imporsi nel confronto con la Meloni, ricompattando così la coalizione altrimenti fin troppo sbilanciata a favore di FdI. Sebbene “il grosso” sia ormai stato fatto, la vicenda non è ancora conclusa, mancando all’appello ancora altre caselle fondamentali quali le nomine di Rfi, le reti ferroviarie strategiche per il Pnrr, Trenitalia, Consip e la stessa Rai, dove la maggioranza dovrà nuovamente trovare un compromesso.

Un lavoro di mediazione che invece sembra proprio non riuscire al Terzo Polo che negli ultimi giorni si è reso protagonista di un’accesa polemica a distanza tra le due anime che la compongono. Calenda e Renzi,  infatti, che avevano sperato di intestarsi l’eredità del Governo Draghi non sono riusciti a trovare un accordo tra loro, dopo mesi di trattative. Il progetto politico di un partito unico, di cui si parla ormai da tempo, è giovedì ufficialmente naufragato. Il Comitato politico del Terzo Polo non ha trovato  la quadra dopo uno scontro sullo scioglimento di IV che Calenda pretendeva entro giugno, sulla partecipazione di Renzi alla Leopolda e sui soldi del 2xmille, che Calenda avrebbe voluto conferiti al nuovo soggetto. Su questi punti il Terzo Polo si è spaccato come annunciato con disappunto dal leader di Azione con «quel nulla di fatto, il partito non si farà» dichiarato a fine riunione a cui segue «perché Renzi non lo vuole fare».

Attriti anche oltre Oceano dove esercitazioni militari, dichiarazioni nervose e giochi politici si intrecciano all’annosa questione irrisolta tra Taiwan e la Cina, alzando la tensione internazionale alle stelle. «La Cina si sta preparando a scatenare la guerra» ha dichiarato il Ministro degli esteri di Taipei Joseph Wu all’emittente televisiva americana Cnn, appellandosi alla carta delle Nazioni Unite nella quale si prevede la risoluzione pacifica delle controversie internazionali. Ciò nonostante, è risaputo che la Cina considera Taiwan una questione di politica interna e per questo non applicabile alle direttive in questione in ossequio al principio del “una sola Cina”. Su questo, il Presidente cinese Xi Jinping sembra incassare la neutralità francese appoggiandosi alle parole del Presidente Macron, recentemente in visita a Pechino, secondo cui l’Europa non dovrebbe farsi coinvolgere in una «crisi che non è sua». Il timore che la Cina possa sfruttare le incertezze dell’Europa, anche a seguito del suo coinvolgimento nella guerra in Ucraina, per forzare la partita, sembrerebbe ad oggi molto alto. La Cina alza così il tiro nel Pacifico, proprio mentre tenta di accreditarsi come mediatrice per la pace tra Russia e Ucraina, soprattutto alla luce del suo recente successo tra Arabia Saudita e Iran.