Grillo e Conte sono alla resa dei conti

In settimana il M5s ha scritto un altro capitolo della sua breve ma travagliata vicenda politica.

Il partito è lacerato dalla lotta per la leadership fra il garante e fondatore Beppe Grillo e l’ex primo ministro Giuseppe Conte, che dopo il divorzio da Davide Casaleggio sperava di poter avere finalmente mano libera nella gestazione del nuovo Movimento. Salvo doversi accorgere sulla sua pelle di aspirante capo di non aver fatto i conti con la voglia di Grillo di restare centrale nel M5s.

Così la discesa a Roma del comico genovese per incontrare i gruppi parlamentari pentastellati ha lasciato dietro di sé una scia di macerie e spinto il M5s a un passo dal precipizio. Lo show del garante nell’aula dei gruppi di Montecitorio ha fatto a pezzi le proposte di Conte, che giusto quattro mesi fa riceveva proprio dal fondatore la richiesta di diventare il nuovo capo politico dei 5 Stelle e di riscriverne lo statuto.

Giunti a questo punto, Conte e Grillo appaiono divisi su tutto ciò che può avere un’influenza sugli equilibri di potere interni al Movimento. Oggetti del contendere sono comunicazione e vincolo dei due mandati, composizione della nuova segreteria, linea politica e simbolo in vista delle prossime elezioni. L’uno si immagina una diarchia, l’altro vorrebbe invece la monarchia.

Da un punto di vista sistemico il grande interrogativo è se può esistere un M5s senza Grillo, mentre la lotta di potere fra le due personalità forti del Movimento è sintomatica dell’impossibilità di avanzare lungo un percorso di maturazione capace di dare un futuro ancora da protagonista alla forza politica che solo tre anni fa era diventata la maggioranza (relativa) del paese.

Non è la prima volta che accade qualcosa di simile, ma il risultato sembra incontrovertibile. In questi anni il Movimento è passato da partito pigliatutto, in grado di attrarre consenso a prescindere dalla collocazione politica dei suoi elettori, a forza in crisi di voti e identità, oltre che ostaggio delle scelte imprevedibili del suo fondatore.

Nel frattempo non si placano le voci di scissioni più o meno imminenti o di una diaspora delle tante anime pentastellate in caso di implosione improvvisa del partito. Da una parte ci sono i dissidenti pronti a ingrossare le fila di Alternativa c’è, dall’altra i pretoriani di Conte contrapposti ai fedelissimi di Grillo, nel mezzo i “governisti” capitanati da Di Maio – rimasto prudentemente in disparte nella diatriba al vertice per non danneggiare il profilo istituzionale che si è costruito da quando siede alla Farnesina.

L’ex primo ministro ha davanti a sé una scelta non facile. Ha rivendicato per sé la parola finale su scelte politiche, alleanze e operatività del partito, lasciando al garante la tutela dei valori originari dei 5 Stelle. Proposta prontamente rispedita al mittente dal comico genovese, secondo cui un accordo fra le parti può comunque essere ancora raggiunto. Purché, ça va sans dire, alle sue condizioni.

Secondo gli ottimisti un compromesso è sempre possibile, ma Conte nel frattempo rischia di trovarsi davanti a un bivio difficile. La rinuncia all’ambizione di costruirsi una carriera politica e dunque l’uscita di scena, lasciando a Grillo quel che resta del M5s, oppure la volontà di andare fino in fondo esigendo da eletti e attivisti una prova di fiducia in un senso o nell’altro.

Specialmente lo spettro di un possibile passo indietro di Conte rischia di creare un vero e proprio terremoto all’interno del M5s. La rottura potrebbe infatti portare a un’emorragia di parlamentari, tanto più se l’ex premier dovesse davvero tentare il tutto per tutto tentando la terza via della sua lista personale – dove, fra le altre cose, verrebbe meno anche il vincolo dei due mandati che agita il sonno di molti eletti.