Quadro ragionato post-elezioni

Il primo turno delle elezioni amministrative ha rispettato le previsioni della vigilia. Il centrosinistra si è imposto ampiamente a Bologna, Milano e Napoli, pur evidenziando tutta la fragilità dell’alleanza Pd-M5s. Alla netta affermazione Dem nelle città ha fatto da contraltare il tracollo del M5s.

Sul fronte opposto, invece, il centrodestra è andato incontro a una sconfitta ampiamente annunciata, dovuta in primo luogo all’assenza di un leader unitario capace di fare sintesi. L’inchiesta sul finanziamento illecito della campagna milanese di Fratelli d’Italia e le accuse nei confronti dell’ex responsabile della comunicazione leghista Luca Morisi hanno fatto il resto, mentre nel post-voto Forza Italia sfogava tutta la sua irritazione per la debacle elettorale diffondendo alla stampa un dossier al vetriolo contro gli alleati.

La tornata ha certificato anche la profonda disaffezione degli elettori nei confronti dell’attuale offerta politica nazionale, visto che al primo turno ha votato poco più della metà degli aventi diritto. È un dato su cui converrà riflettere e forse agire, per evitare che in un domani l’astensione si trasformi in una condizione strutturale del nostro sistema elettorale. Nel complesso si è trattato di un voto che non ha avuto effetti sulla stabilità del governo, pur innescando alcune significative trasformazioni nei rapporti di forza fra gli attori della sua vasta coalizione.

Se ancora pochi mesi fa il Pd accettava di sostenere l’esecutivo Draghi fra mille dubbi e con tante perplessità interne, oggi il partito del segretario Enrico Letta sente di essere diventato l’architrave della compagine governativa di cui fa parte. Al contempo Matteo Salvini ha dovuto accettare di rivedere il suo rapporto con il primo ministro, preso atto del fallimento di una strategia di campagna elettorale giocata in prevalenza sui temi del green pass (e non sui risultati ottenuti dal governo) che ha finito per intaccare in primo luogo la sua leadership nel partito e nel centrodestra.

Per il leader leghista si tratta dunque di correre ai ripari e di provare a riconquistare centralità strutturando un ciclo di incontri settimanali con Draghi sulla falsariga di quanto già istituito da Letta, specialmente ora che in cima all’agenda di Palazzo Chigi è arrivata la partita della riforma fiscale e del Catasto in particolare. Il fatto che ieri l’esecutivo abbia decretato le riaperture andando oltre alle indicazioni del Comitato tecnico scientifico può essere il segnale che tutto sommato il primo ministro ha accolto positivamente il nuovo atteggiamento del leader leghista.

Intanto nel campo del centrosinistra la bella vittoria non basta a nascondere il fatto che gli alleati devono fare i conti con un’alleanza con il M5s che fatica a decollare. Prova ne siano ad esempio gli insulti incrociati e le polemiche fra l’ex candidato sindaco nella capitale Carlo Calenda e il leader grillino Giuseppe Conte, con il Pd finito nel mezzo del fuoco incrociato.

Calenda ha subordinato il suo appoggio al candidato Dem Roberto Gualtieri (che al ballottaggio a Roma sfiderà Enrico Michetti del centrodestra) dopo aver ottenuto la promessa che nella sua eventuale giunta capitolina non saranno presenti assessori Cinquestelle. La notizia si è abbattuta come un fulmine sul nuovo capo politico del M5s, dimostrando tutti i limiti del suo tentativo di accentuare il carattere strutturale dell’intesa con il Pd e offrendo nuovi argomenti di contestazione ai grillini ortodossi.

Un’altra fonte di preoccupazioni per l’ex premier è nell’atteggiamento criptico assunto dal sindaco capitolino uscente Virginia Raggi, che non darà indicazioni di voto in vista del ballottaggio per il Campidoglio come ritorsione nei confronti di Conte per essere stata lasciata sola nella sconfitta di una settimana fa. Un’eventuale disfatta di Gualtieri a Roma sarebbe un ostacolo per l’alleanza con il centrosinistra e potrebbe favorire proprio il tentativo di scalata del Movimento da parte di Raggi.

Nel frattempo la buona performance elettorale di Calenda (quasi il 20% dei consensi) e la presenza di un quadro politico nazionale sovvertito dall’avvento di Mario Draghi hanno riacceso le richieste di una modifica in senso proporzionale della legge elettorale.

Se un anno fa era stato Matteo Renzi a congelare la riforma su cui Pd e M5s avevano trovato l’accordo, in settimana ha ripreso quota il dibattito sulla possibilità di favorire la nascita di un’area politica centrista di ispirazione liberal-democratica mediante una soluzione proporzionale. Una suggestione che sembra fare proseliti ma che si scontrerà in primo luogo con i dubbi del Pd, che dopo l’ottimo risultato delle amministrative potrebbe optare per lasciare tutto com’è.