L’Ue sceglie i suoi vertici mentre l’Italia si astiene
Riflettori puntati sul Consiglio Europeo di giovedì e venerdì che si è aperto a Bruxelles per decidere sulle nomine delle più alte cariche europee per i prossimi cinque anni. Approvato il pacchetto proposto dalla maggioranza uscita vincitrice dalle elezioni europee per un secondo mandato di Ursula von der Leyen come presidente della Commissione Europea. Confermate anche le nomine dell’ex primo ministro portoghese António Costa come presidente del Consiglio Europeo e della prima ministra dell’Estonia Kaja Kallas come Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza. Mentre le nomine di Costa e Kallas sono definitive, quella di von der Leyen dovrà essere nuovamente approvata dal Parlamento Europeo dove la maggioranza controlla un numero di seggi (circa 400 su 720) più ristretto rispetto al Parlamento uscente. Il tutto non è avvenuto comunque senza discussioni, e anzi, le principali hanno riguardato proprio l’Italia. Il gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei, di cui fa parte Fratelli d’Italia, è rimasto infatti molto ai margini dei negoziati sui Top Jobs europei, non essendo di fatto stato interpellato nelle trattative. Meloni ha deciso quindi di non sostenere l’accordo, astenendosi sulla nomina di von der Leyen e votando contro Costa e Kallas. «La proposta formulata da popolari, socialisti e liberali per i nuovi vertici europei è sbagliata nel metodo e nel merito. Ho deciso di non sostenerla per rispetto dei cittadini e delle indicazioni che da quei cittadini sono arrivate con le elezioni. Continuiamo a lavorare per dare finalmente all’Italia il peso che le compete in Europa», così la premier Meloni. Diversi media internazionali avevano però riportato l’intenzione di Ursula von der Leyen di negoziare direttamente con Meloni per la futura maggioranza, non in quanto leader dei Conservatori UE ma in qualità di premier italiana, per discutere del portafoglio riservato all’Italia nella prossima Commissione europea.
Sempre sullo sfondo internazionale, occhi puntati anche su altri due eventi degni di nota, distanti a livello geografico ma ugualmente importanti. Nella notte tra giovedì e venerdì si è svolto il primo e attesissimo dibattito televisivo tra i due principali candidati alla presidenza degli Stati Uniti, il presidente in carica Joe Biden del Partito Democratico e l’ex presidente Donald Trump del Partito Repubblicano. Il dibattito, organizzato dalla rete televisiva CNN e durato circa 90 minuti, è stato commentato da tutti i giornali statunitensi e internazionali come molto deludente per Biden, che si trova ora alquanto in svantaggio rispetto all’avversario repubblicano. Biden doveva dimostrare di essere lucido, in grado di stare al comando, serio e presidenziale, ma aveva la voce roca ed ha perso più volte il filo del discorso sembrando nel complesso esitante ed incerto. Al contrario, Trump è apparso molto più ricettivo e aggressivo nei confronti di Biden, capace di articolare il suo discorso, seppur abbia confermato – come fanno notare i media – la sua tendenza a diffondere notizie false o molto discutibili. Il secondo dibattito tra i due dovrebbe tenersi il 10 settembre, ma la performance del Presidente americano in questo confronto ha aperto – o forse ha reso esplicita – una discussione all’interno dei Dem sulla possibilità di sostituire Biden con un candidato che sia scelto dai delegati del partito durante la convention estiva. Tuttavia, anche se si volesse effettivamente procedere in tal senso, è necessario che Biden scelga di ritirarsi, una possibilità che finora ha rifiutato di prendere in considerazione.
Sempre venerdì, si tengono anche le elezioni presidenziali iraniane dopo l’improvvisa morte in un incidente aereo del Presidente Raisi. Il voto si svolge sullo sfondo di un crescente malcontento interno, di un profondo disinteresse degli elettori e di forti turbolenze regionali. Gli elettori, ormai da anni, manifestano la loro disillusione nei confronti del sistema e della leadership con l’astensione alle urne. Non a caso, la Guida Suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, ha sollecitato una forte partecipazione al voto, mentre diverse figure come l’attivista Narges Mohammadi (Nobel per la pace nel 2023) hanno lanciato appelli per un “boicottaggio” del voto. L’affluenza sarà un fattore importante di cui tener conto come metro della legittimazione interna e misura dell’equilibrio regionale.