Meloni e Macron alla prova del Quirinale
In una settimana in cui il dibattito politico italiano è stato dominato da riforme istituzionali e nuove strette sulla sicurezza, è paradossalmente una telefonata partita da Parigi a restituire un respiro più ampio al panorama nazionale. Emmanuel Macron ha chiamato Giorgia Meloni. Non per un rimprovero, non per una polemica, ma per chiedere un incontro chiarificatore, quasi riconciliatorio: “Giorgia, facciamo pace”. Il tono, se non inedito, è certamente in controtendenza rispetto ai mesi precedenti, segnati da frecciate, malintesi e gelo diplomatico. L’incontro ci sarà, martedì 3 giugno a Roma, e non sarà solo un gesto simbolico. La posta in gioco, per entrambi i Paesi, è alta.
Si tratta, come qualcuno ha già definito, del “bilaterale della maturità”. Maturità politica, innanzitutto, per superare tensioni e incomprensioni, ma anche per misurarsi con le nuove responsabilità che il contesto europeo impone. La telefonata dell’Eliseo non è certo frutto di spontaneità emotiva: arriva in un momento strategico, alla vigilia del G7 in Canada e a meno di un mese dal Consiglio Europeo di fine giugno. In mezzo, ci sono questioni aperte su energia, sicurezza, commercio e politica industriale. Non solo parole, dunque. Ma un’agenda fitta, potenzialmente trasformativa.
Al centro dell’incontro torna il tanto evocato – ma finora poco attuato – Trattato del Quirinale, firmato nel 2021 tra Mario Draghi e lo stesso Macron. Per la Francia, il trattato è rimasto in ombra, volutamente relegato ai margini per non disturbare l’equilibrio dell’asse franco-tedesco. In Italia, invece, era stato accolto come un segnale di svolta: un riconoscimento del ruolo dell’Italia nei meccanismi decisionali europei. Oggi, quel trattato potrebbe finalmente passare dalla teoria alla prassi. Secondo fonti dell’Eliseo, l’obiettivo è proprio quello: fare del Quirinale non più un simbolo, ma una piattaforma di cooperazione permanente.
Tra i dossier più urgenti c’è la questione energetica. L’Italia guarda con crescente attenzione all’energia nucleare, e la Francia rappresenta un interlocutore naturale, forte della propria esperienza e della propria filiera industriale. Un’eventuale intesa in questo ambito andrebbe ben oltre la dimensione bilaterale: sarebbe un segnale per tutta l’Unione Europea, che si interroga su come garantire competitività e sostenibilità nella transizione energetica. Anche sul fronte commerciale l’intesa è necessaria. I dazi imposti dagli Stati Uniti – recentemente riattivati da una corte d’appello americana – pesano su entrambe le economie, e un coordinamento tra Roma e Parigi potrebbe rafforzare la posizione europea nei futuri negoziati internazionali.
Il bilaterale, però, non si gioca solo su numeri e mercati. C’è anche la delicata questione della postura geopolitica dell’Europa. Con le guerre in Ucraina e a Gaza, e le spinte verso un’autonomia strategica dal fronte NATO, Meloni e Macron si trovano a riflettere su come rafforzare una difesa comune e una linea estera europea più coesa. Qui i margini sono stretti: Roma ha bisogno di equilibrio tra atlantismo e interessi continentali, Parigi spinge da tempo per una “sovranità europea” ancora tutta da costruire. Ma il confronto tra i due leader, così diversi per stile e visione, potrebbe portare a una sintesi nuova.
Per Macron, in calo nei sondaggi e con un’opposizione interna sempre più aggressiva, è una chance per rilanciare la Francia come perno di una nuova alleanza mediterranea. In questo senso, il vertice del 3 giugno è molto più di una tappa diplomatica: è una cartina di tornasole delle ambizioni italiane e francesi in Europa.