Romanzo Quirinale, capitolo V: lo stallo della politica
Lunedì si aprono le urne per eleggere il nuovo capo dello Stato e sulla politica italiana continuano a gravare le nubi dell’incertezza. Raramente alla vigilia della scelta della massima carica della Repubblica si era assistito a uno stallo come quello di questi giorni.
La necessità di riempire la casella di Palazzo Chigi con una figura condivisa e autorevole nell’eventualità in cui fosse proprio l’attuale primo ministro Mario Draghi a succedere a Sergio Mattarella ha scoperchiato il vaso di Pandora sulla leadership del prossimo esecutivo. Siamo, di fatto, al cospetto di una doppia consultazione.
Il punto è che il Parlamento dei grandi elettori ha capito perfettamente che la fine del governo Draghi non è priva di incognite e che oggi la prospettiva di un salto nel buio è massima. Del resto, la storia repubblicana insegna che praticamente nessuna delle circa settanta crisi istituzionali che si sono susseguita dal 1945 a oggi è mai stata risolta prima ancora di avere inizio.
Ciò spiega la ritrosia di senatori e deputati ad avallare senza colpo ferire o nulla chiedere in cambio l’annunciato trasloco al Colle dell’ex capo della Bce. In assenza di accordi fra i partiti, il timore è di gettare il Parlamento in un caos che se lasciato libero di crescere potrebbe anche portare alla fine prematura della legislatura. Le divergenze sul dopo Draghi tra Salvini, che vorrebbe un «governo dei segretari», e Letta, che punta sul «patto di legislatura», sono piuttosto significative.
Con queste premesse, giunti a pochi giorni dall’inizio degli scrutini, inutile sorprendersi se le forze politiche non sono ancora riuscite a trovare una via d’uscita dall’impasse. Il centrosinistra preferisce giocare di rimessa, il centrodestra è bloccato dall’autocandidatura di Silvio Berlusconi, mentre leader e ministri ritengono che nella migliore delle ipotesi il Parlamento riuscirà a eleggere il presidente della Repubblica non prima della giornata di giovedì.
In attesa di schiarite o d’improbabili colpi di scena, l’occasione è propizia per provare a riflettere sulle cause di uno stallo che sembra venire da lontano e che sarebbe sbagliato circoscrivere all’attuale congiuntura politica.
Al primo posto ci sono le elezioni politiche del 2018. La tornata disegnò l’ennesima geografia elettorale nel paese (egemonia del M5s nelle regioni meridionali e tracollo del centrosinistra nelle “regioni rosse”, con annessa avanzata del centrodestra a trazione leghista), confermando come si temeva alla vigilia l’assenza di una maggioranza parlamentare in grado di governare in maniera autosufficiente.
Le conseguenze sono note: tre diversi esecutivi con altrettante maggioranze parlamentari nell’arco di appena quattro anni il cui risultato è stato di approfondire la crisi di credibilità dei partiti e il loro ancoraggio nella società (entrambi in essere da tempo), fino ad evidenziarne la fatale incapacità di governare le crisi che si sono scaricate sull’Italia con l’esplodere della pandemia.
L’assenza di partiti forti è una seconda spiegazione al cul de sac in cui sembra essere precipitata l’elezione del capo dello Stato. Sul tavolo degli imputati ci sono delle forze politiche che non riescono a esprimere una classe dirigente all’altezza del difficile momento storico che viviamo. Il fatto che il toto-nomi di queste settimane abbia occupato il discorso pubblico senza lasciare il minimo spazio a riflessioni sull’interesse nazionale è sintomatico dello scollamento di cui sopra. Eppure nel 2022 l’Italia è attesa da partite decisive per il suo futuro quali la riforma del patto di stabilità Ue e la gestione dei fondi del Pnrr.
Ciò vale soprattutto per i partiti del centrodestra, che pure hanno l’ambizione di essere loro a proporre il nome del successore di Mattarella per riequilibrare (anche se solo in minima parte) il rapporto con le forze di centrosinistra che hanno espresso gli ultimi quattro presidenti della Repubblica.
Ed eccoci al terzo punto. Le difficoltà del momento nascono anche dall’ossessione per il breve termine che sembra aver avviluppato in maniera trasversale e quasi parossistica ogni decisore o politico italiano, acuendo un male antico del paese quale l’incapacità di fare progetti a lungo termine e rendendo i protagonisti dell’elezione del tutto incapaci di fare anche solo un semplice passo in avanti per uscire dallo stallo.
Infine c’è da tenere conto che all’orizzonte della politica si stagliano delle elezioni destinate a tagliare di un terzo il Parlamento più debole della storia repubblicana. La data ufficiale è il 2023, anche se non si può escludere a priori che gli eventi dei prossimi giorni non finiscano per riservare qualche amara sorpresa ai naviganti parlamentari. Ne consegue la tragica lotta per la sopravvivenza di queste ore, condotta per preservare il miraggio di un intoccabile status quo.