Parole, incontri e aspettative

Le parole sono pietre. E in politica possono diventare massi granitici se non dosate a dovere. I ministri del governo Meloni si sono più volte scontrati con questa lezione. L’ultimo caso ha visto come protagonista in settimana proprio Francesco Lollobrigida, uno dei più esperti conoscitori della dialettica politica. È ovvio che la teoria della “sostituzione etnica” è stata un po’ travisata e amplificata da alcuni, ma difficile spiegare un concetto di policy sui migranti usando parole così facilmente fraintendibili. Altrettanto difficile che, come paventato da certa stampa, il suo importante ruolo possa essere ridimensionato dopo questa “gaffe”, ma di certo la reiterata polemica sul vocabolario della destra sembra cominciare a infastidire la Premier, l’unica che dà l’impressione di aver capito la delicata questione lessicale che accompagna il cammino del suo establishment.

Dall’altra parte, invece, la leader del PD Elly Schlein ha fatto la sua prima conferenza stampa “fiume” da Segretaria, dimostrando una notevole furbizia nella scelta delle parole. Ma, nel suo caso, contraddicendo evidentemente la sua identità valoriale. Il suo PD ha sciolto la riserva sulle due grandi questioni politiche che agitavano il partito: l’invio di armi in Ucraina e il termovalorizzatore di Roma. Su entrambi i punti la Schlein si è detta favorevole, allontanando, di fatto, ogni apparentamento con il M5S.

Su un punto in particolare Schlein si è soffermata sferrando un duro attacco frontale al governo, il Pnrr: «sono scaricabarile, siamo in ritardo. Sono pronta a incontrare la Meloni». Del resto il giorno della conferenza stampa veniva votato alla Camera, con fiducia, il decreto che modifica l’impostazione e la governance del Pnrr. Un pacchetto di misure che centralizza la gestione del Piano presso la presidenza del Consiglio con l’obiettivo di migliorare la realizzazione degli interventi previsti fino al 2026 e non pregiudicare i finanziamenti europei per complessivi 191,5 miliardi. Il decreto, inoltre, introduce una semplificazione delle procedure e il rafforzamento del collegamento tra il Pnrr e i fondi di coesione, secondo la logica dei “vasi comunicanti”, cara al ministro degli Affari europei Raffaele Fitto. Quella logica che prevede lo spostamento dei progetti che sicuramente non si riusciranno a realizzare entro il 2026 sui fondi di coesione, spalmati però su tempi di realizzazione più lunghi, cioè fino al 2029.

E le prove a distanza di contesa tra gli schieramenti (e tra le componenti interne ad essi) si sono consumate anche sul campo del complesso tema della famiglia. Se la Schlein, da un lato, ha spaccato il PD dicendosi favorevole alla “maternità surrogata”, sull’altro fronte Meloni sta studiando il piano di sgravi fiscali sull’Irpef per chi fa figli, un pacchetto di tagli fiscali che sta cercando di intestare al suo partito, con buona pace degli alleati, specialmente della Lega.

Ma gli occhi del governo in settimana sono stati rivolti anche verso Oriente, in Giappone, dove si è svolta la riunione dei Ministri degli esteri del G7. Il Ministro Antonio Tajani ha approfittato dell’occasione per guidare la discussione riguardante uno dei fronti che all’Italia interessano di più, il Mediterraneo e l’Africa, con particolare riferimento alle tensioni in Sudan e Tunisia, due aree da cui potrebbe scaturire un’intensa ondata migratoria verso l’Europa e, quindi, verso le nostre coste.   Inoltre, uno dei principali risultati portati a casa, come spiega il Ministro durante il Question Time in Senato, è stata la concessione di una riunione straordinaria del G7 con focus sul Mediterraneo e sul Medioriente, possibilmente in formato allargato ai paesi della regione, con l’obiettivo di facilitare la stabilizzazione di un’area cruciale per gli interessi e gli equilibri mondiali.

Mentre sull’Italia, e su Roma in particolare, sono stati rivolti gli occhi vigili degli ispettori del Bureau international des expositions, arrivati nella Capitale per valutare l’assegnazione di Expo 2030. Un esame che vede per una volta l’Italia compatta a livello trasversale. Da Mattarella alla Meloni, fino a Gualtieri e alle opposizioni: questa volta nessuna voce controcampo. L’Italia sogna Expo 2030 a Roma e sta muovendosi in tutti i modi, mobilitando anche la diplomazia competente, per ottenere i voti necessari. Del resto la sfida è difficile, anche perché dall’altra parte ci sono le altrettanto agguerrite Busan e Riad. Bisognerà aspettare novembre per sapere chi l’avrà spuntata.