All eyes on Rafah

All eyes on Rafah, “Tutti gli occhi puntati su Rafah”. Dopo il raid israeliano del 26 maggio su una tendopoli di sfollati a Rafah, che ha causato 45 morti e centinaia di feriti, è questo lo slogan che ha preso slancio negli ultimi giorni, invadendo i social di tutto il mondo. Alla condivisione del post ormai virale si sono accodate le parole di gran parte dei leader mondiali che hanno commentato con stupore e costernazione l’incendio nella “zona umanitaria” designata da Israele ed esortato nuovamente per un cessate il fuoco a Gaza e per la fine dell’operazione militare israeliana nella città. In questi ultimi giorni si è collettivamente persavi dalla sensazione di aver oltrepassato un limite che non doveva essere valicato: svariate infatti le condanne e le reazioni internazionali alle ultime mosse di Tel Aviv. Venerdì la Corte internazionale di giustizia (ICJ), il più importante tribunale delle Nazioni Unite, ha ordinato a Israele di fermare l’attacco a Rafah. I giudici della Corte hanno definito la situazione in loco «disastrosa» affermando che le drammatiche condizioni di vita della popolazione sono «ulteriormente peggiorate», in particolare per la prolungata e diffusa privazione di cibo: per questo, Israele deve «sospendere immediatamente la sua offensiva militare e qualsiasi altra azione nel governatorato di Rafah, che possa infliggere al gruppo palestinese di Gaza condizioni di vita che potrebbero portare alla sua distruzione fisica, in tutto o in parte». Martedì, invece, i governi di Spagna, Irlanda e Norvegia hanno riconosciuto formalmente lo Stato di Palestina: nel caso in questione il riconoscimento internazionale ha un altissimo valore simbolico e politico, soprattutto nel contesto della guerra in corso. La decisione dei tre Stati segue di qualche settimana il voto all’Assemblea Generale dell’Onu in cui la stragrande maggioranza dei paesi rappresentati ha votato a favore del pieno riconoscimento della Palestina come Stato membro. Al momento la Palestina è riconosciuta da quasi due terzi degli stati membri delle NU, ma da nessun paese del G7 – Italia compresa. Sebbene l’iniziativa di Spagna, Irlanda e Norvegia e la sentenza della ICJ fossero finalizzata a fare ulteriore pressione sul governo di Benjamin Netanyahu per frenare l’avanzata a Gaza, non sembrano per ora aver sortito l’effetto sperato. Giovedì infatti l’esercito israeliano ha fatto sapere di aver preso il controllo di tutta la zona della Striscia di Gaza che confina con l’Egitto.

E anche se “tutti gli occhi sono puntati a Rafah”, non sono mancati interessanti sviluppi anche lato interno. In settimana è infatti arrivato il via libera del Consiglio dei ministri alla riforma della giustizia. Una riforma “epocale” come l’ha definita il ministro della Giustizia Carlo Nordio, perché introduce, per la prima volta, il principio della separazione delle carriere tra giudici inquirenti e giudicanti e, inoltre, ridisegna completamente il Csm, in modo da recidere l’influenza delle correnti interne alla magistratura per l’elezione dei componenti del Consiglio. E in più viene introdotta un’Alta Corte, un organo di tutela giurisdizionale contro i provvedimenti amministrativi assunti dai Consigli superiori della magistratura ordinaria, amministrativa e tributaria. Ai peana della maggioranza hanno fatto da contraltare gli attacchi delle opposizioni e dell’Associazione nazionale magistrati, che ha annunciato scioperi e “battaglie”. Per ora, questo provvedimento rappresenta una significativa vittoria politica della maggioranza. Nonché un bagno di autostima per Forza Italia, che è riuscita a portare a termine un progetto di riforma su cui per anni Berlusconi si era battuto.