Il Governo Meloni “al lavoro”

La settimana appena trascorsa si è concentrata sul tema del lavoro, a cominciare dal confronto avvenuto domenica tra i rappresentanti del Governo e le organizzazioni sindacali Cgil-Cisl-Uil per illustrare il provvedimento al centro del Consiglio dei Ministri di lunedì. L’incontro, durato oltre due ore, si è svolto in un clima di apparente cordialità; la premier ha puntato sulla necessità di avere un dialogo “serio e costruttivo” con la controparte in merito alle sfide poste in particolare dal settore lavoro e dal Pnrr. Ma la distanza tra i due mondi non sembra essersi colmata sia nel merito della questione sia nel metodo per affrontarla e le polemiche non sono mancate, specialmente il giorno successivo: il fatidico Primo maggio, che il Governo ha deciso di celebrare, per l’appunto, lavorando. Meloni, da una parte, ha definito “incomprensibili” le critiche del Segretario della Cgil Maurizio Landini sulla decisione di convocare il Consiglio dei Ministri nella giornata del Primo maggio, in coincidenza quindi con la Festa dei lavoratori. Dall’altra, il Segretario della Uil Bombardieri ha lamentato la convocazione dei sindacati a poche ore dall’approvazione definitiva del decreto-legge, commentando poi  il “fastidio” che il Governo proverebbe nel vedere la narrazione del Primo maggio guidata dai sindacati. 

Polemiche a parte, il decreto lavoro è stato approvato. Una riforma ad alta carica simbolica che, non certo a caso, la Premier ha voluto presentare proprio il giorno del Lavoro per antonomasia, a dimostrazione di come il Governo abbia «concretamente» a cuore il tema. Il decreto contiene, tra le altre cose, una riduzione temporanea dei contributi a carico dei lavoratori con redditi medi e bassi, con l’obiettivo di diminuire così il costo del lavoro e aumentare gli stipendi netti. Il provvedimento prevede, inoltre, di alzare di quattro punti percentuali il taglio del cuneo fiscale, ossia la differenza tra quanto pagato dal datore di lavoro e quello che il lavoratore percepisce come stipendio netto, per aumentare il potere d’acquisto, ridotto notevolmente dall’aumento dei prezzi di questi ultimi mesi. In continuità con ciò che era già stato fatto dal precedente governo Draghi, l’intervento sul cuneo è probabilmente la parte del decreto su cui il governo sta investendo di più a livello politico, nonostante le altre due misure varate, quella sulla sostituzione del reddito di cittadinanza e quella per il rinnovo dei contratti a termine oltre i 12 mesi, siano maggiormente incisive e, in ogni caso, permanenti. Questo anche perché, in linea di principio, esiste un consenso generale sulla necessità di ridurre il cuneo fiscale vista anche l’inflazione alle stelle che impoverisce i lavoratori con un reddito fisso. Il cuneo fiscale, infatti, rappresenta un onere notevole a carico sia delle imprese, che devono far fronte a costi aggiuntivi, sia del lavoratore stesso, che vede ridursi la sua retribuzione netta a causa di imposte e trattenute.

Tuttavia, le risorse a disposizione del Governo sono piuttosto esigue e la misura rischia quindi di avere un impatto relativo. Ciò nonostante, il decreto è stato rivendicato con fierezza dalla Meloni che ha parlato del «più importante taglio delle tasse sul lavoro degli ultimi decenni», salvo poi scatenare una guerra di cifre innescata con le opposizioni. Il tutto mentre l’Istat annunciava le stime dei prezzi al consumo che ad aprile sono tornati a salire a quota 8,3% su base annua (rispetto al 7,6% del mese precedente). Il taglio del cuneo diventa allora una misura sempre più utile ma, allo stesso tempo, con i ritmi registrati dall’Istat, anche più complessa da applicare. Al Governo toccherà quindi trovare l’equilibrio tra l’esigenza di andare incontro ai lavoratori e le strettoie della finanza pubblica e del contesto geopolitico attuale. Alcuni punti di riflessione che lasciano, almeno per ora, in attesa di giudizio la strategia della Meloni per combattere l’inflazione e sostenere il mondo del lavoro. 

Nel frattempo, sembra essere scoppiata una nuova crisi diplomatica tra Italia e Francia sul tema immigrazione. Dopo aver accusato a novembre il Governo italiano di aver avuto una gestione “disumana” in relazione alle vicende della nave Ocean Viking, giovedì sera a far scalpore sono state le  dichiarazioni del Ministro degli Interni francese Gérald Darmanin secondo cui «la Signora Meloni, a capo di un Governo di estrema destra scelto dagli amici della Signora Le Pen, è incapace di risolvere i problemi migratori per i quali è stata eletta». Un attacco tanto pungente quanto inatteso a cui sono seguite reazioni altrettanto negative da parte del Governo italiano. Il Ministro Tajani ha infatti annunciato di aver annullato il suo incontro con l’omologa francese in quanto “le offese al governo ed all’Italia pronunciate dal Ministro Darmanin sono inaccettabili: non è questo lo spirito con il quale si dovrebbero affrontare sfide europee comuni”. Nel diligente lavorio diplomatico di riavvicinamento tra Roma e Parigi, questo incontro avrebbe dovuto essere una delle tappe di preparazione dell’atteso viaggio di Meloni all’Eliseo ma, anche se il Ministero degli Esteri francese si è affrettato a dichiarare in una nota come intenda lavorare insieme all’Italia, tale ipotesi sembra ora più lontana che mai.