Fisco, giustizia ed energia: i tre fronti domestici di Draghi

Non c’è soltanto la guerra in Ucraina in cima alle priorità del governo del presidente Mario Draghi. Sul fronte interno, difatti, la settimana politica che si è appena conclusa ha visto l’esecutivo impegnato a fondo su tre fronti particolarmente delicati: fisco, giustizia ed energia.

A inizio settimana il capo del governo è stato ad Algeri assieme ai titolari di Esteri (Di Maio) e Transizione ecologica (Cingolani) e all’amministratore delegato di Eni (Descalzi) per ampliare le forniture gasiere acquistate dall’azienda statale algerina Sonatrach. La crisi nei rapporti con Mosca ha spinto i vertici del governo italiano a spendersi in prima persona per liberarsi rapidamente dalla dipendenza dagli idrocarburi russi.

Il viaggio in Algeria e l’incontro di Draghi con il presidente Abdelmadjid Tebboune sono valsi al nostro paese altri 9 miliardi di metri cubi di gas, un terzo dei quali sarà disponibile già per il prossimo inverno. Attualmente il paese nordafricano rifornisce l’Italia con 20 miliardi di metri cubi all’anno grazie al gasdotto Transmed che approda in Sicilia. L’intesa con Algeri prevede inoltre la cooperazione bilaterale in fatto di progetti di energia rinnovabile comuni.

Roma punta a liberarsi completamente dalla dipendenza dalla Russia nell’arco di appena due anni. Per conseguire questo ambizioso obiettivo, il capo dell’esecutivo ha in progetto altre tre tappe nel continente africano: dopo Pasqua volerà in Congo, per provare a ottenere 5 miliardi di gas addizionali, dopodiché sarà la volta di Mozambico e Angola.

La strategia di diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico passa anche per le iniziative di Eni. In settimana il nostro colosso nazionale ha annunciato la stipula di un accordo quadro con la società statale egiziana Egyptian natural gas holding company che punta a rifornire l’Italia con tre miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto.

La notizia ha provocato le reazioni di una parte del mondo politico per le sue implicazioni sull’irrisolto caso Regeni, che secondo il segretario Pd Enrico Letta costituisce un “macigno nelle relazioni internazionali” con l’Egitto. È anche per questo motivo che all’accordo con il Cairo non è stato attribuito lo stesso significato politico dell’intesa raggiunta con Algeri, per cui si sono mossi in prima persona i vertici del governo.

Il tema di come conciliare le esigenze di sicurezza nazionale dell’Italia con la tutela dei propri cittadini all’estero non mancherà di animare il dibattito domestico – interno alla maggioranza e presso l’opinione pubblica – nei mesi a venire. Per il momento lo scoppio della guerra in Ucraina sta facendo prevalere in maniera piuttosto netta la cruda ragion di Stato sulla nobile necessità di salvaguardare i diritti umani. Nulla di stupefacente, in fondo, per un governo tecnico che non deve rispondere al corpo elettorale.

Gli altri fronti di discussione interna al sistema politico riguardano gli interventi dell’esecutivo su fisco e giustizia. Sul primo punto il centrodestra è andato in pressing su Palazzo Chigi specialmente contro la temuta riforma del catasto, che secondo la Lega rischierebbe di provocare un aumento delle imposte a danno degli italiani. Per tutta risposta il Pd ha chiesto a Draghi di tirare dritto, dal momento che la minaccia della crisi implicita nell’atteggiamento leghista indebolirebbe l’esperienza governativa congiunta.

Il problema della Lega in un anno pre elettorale come il 2022 è la rivalità con Fratelli d’Italia, per cui l’intenzione del premier di apporre la questione di fiducia sul disegno di legge delega per la riforma fiscale è inopportuna e da evitare. Di qui la necessità di esibire un atteggiamento critico sul provvedimento e la richiesta di cancellare la parte della riforma che vincola il valore catastale a quello di mercato.

Oltre al partito di Giorgia Meloni, contro il ricorso alla fiducia ci sono le voci di quanti ne paventano gli effetti sul mutamento degli equilibri istituzionali in corso da svariati anni a questa parte. Il riferimento è al ruolo del Parlamento, sempre meno autonomo nella produzione legislativa e diventato quasi come un mero ratificatore delle scelte del governo.

In questi anni il fenomeno dello slittamento del potere legislativo in capo al titolare di quello esecutivo si è concretizzato attraverso il ricorso smodato ai decreti-legge, alla reiterazione delle questioni di fiducia e ai poteri di ordinanza esercitati dal presidente del Consiglio in forma di Dpcm durante la pandemia. Per questo c’è chi sostiene la necessità di evitare la fiducia sui disegni di legge delega, per non aggravare la decadenza del Parlamento e per non rimuovere del tutto ogni contrappeso istituzionale al primato dell’esecutivo.

In settimana l’incontro dei leader del centrodestra con Draghi e il ministro dell’Economia Daniele Franco ha dissipato una parte delle nubi che aleggiano sul futuro dell’ampio provvedimento, pur rinviandone l’approdo in Aula a dopo il 2 maggio. Ciò che emerge dagli incontri con le forze di maggioranza è la determinazione del primo ministro a proseguire sulla strada della riforma fiscale senza sbandamenti.

La maggioranza ha retto anche sul fronte della riforma della giustizia, nonostante una certa difficoltà a concludere i lavori in commissione alla Camera – con le opposizioni all’attacco e gli alleati a guardarsi spesso in cagnesco, nel timore di subire uno sgambetto a ogni emendamento. L’imperativo di Draghi era di chiudere la discussione entro questa settimana per cominciare a votare il provvedimento in Aula da martedì 19 aprile.

La riforma prevede un nuovo sistema elettorale per entrare nel Csm, il blocco delle porte girevoli, meccanismi per evitare le nomine a pacchetto spartite tra le correnti, la possibilità per ogni magistrato di un solo passaggio di funzione nel corso della propria carriera, lo sviluppo di un fascicolo personale del magistrato per tenere conto dei risultati professionali.

Il provvedimento è finito nel mirino della magistratura, che lo ha bollato come “punitivo” e “mortificante” ed è orientata a indire lo sciopero. Nonostante i mal di pancia, il dato più significativo è che la maggioranza è riuscita a superare la prova della Commissione. Complici l’impulso all’unità venuto dal Quirinale, il lavoro di mediazione svolto dalla Guardasigilli Marta Cartabia e la necessità di reagire in tempi brevi allo scandalo Palamara che ha segnato il crollo di autorevolezza della magistratura italiana.