I terreni di scontro tra destra e sinistra

Un nuovo 25 aprile è accompagnato, come da copione, dalle consuete polemiche, questa volta innescate dal caso Scurati, che sta dominando le cronache da giorni, senza riuscire a fare spazio a notizie molto importanti sul piano della politica interna ed estera. La settimana, infatti, si è aperta con la vittoria elettorale schiacciante del centrodestra in Basilicata, che ha confermato da un lato il trend di crescita del consenso per il centrodestra, al netto di un calo verticale della Lega, al contrario di Forza Italia, in rapida crescita; dall’altro le falle del campo largo della sinistra, dove la diatriba tra Pd e Cinque Stelle è senza dubbio un tallone d’Achille.

Un secondo paragrafo della cronaca politica della settimana si è scritto al Parlamento europeo di Strasburgo, dove si è votato il Patto di Stabilità, senza l’adesione dell’Italia. Un fatto piuttosto eclatante, che compromette la postura internazionale ambivalente dell’Italia, che nei mesi scorsi aveva approvato la normativa.

Tra i punti approvati nel nuovo Patto di Stabilità c’è l’obbligo, per i Paesi con un debito pubblico superiore al 60%, di presentare un piano di riduzione in 4 anni. L’Europa concede l’estensione a 7 anni ma solo in cambio di riforme e investimenti specifici. I Paesi con un debito eccessivo saranno tenuti a ridurlo in media dell’1 % all’anno se il loro debito è superiore al 90% del Pil, e dello 0.5% all’anno in media se è tra il 60% e il 90%. Se il disavanzo di un Paese è superiore al 3% del Pil, dovrebbe essere ridotto durante i periodi di crescita per raggiungere l’1.5%.

Il Consiglio europeo deve ora dare la sua approvazione formale ai provvedimenti. Una volta adottati, entreranno in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’UE. Gli Stati membri dovranno presentare i loro primi piani nazionali entro il 20 settembre. Ma perché gli italiani si sono astenuti? L’astensione della maggioranza di governo italiana si rifà a una serie di ragionamenti in relazione alle criticità ed è una scelta che si profilava all’orizzonte già lo scorso 12 aprile, all’Ecofin. In quell’occasione, il ministro dell’Economia Giorgetti spiegò che “noi avremmo votato la proposta della Commissione. Peccato che la larga maggioranza dei Paesi non l’avrebbe votata. E quindi, com’è noto, in queste sedi bisogna ragionare per compromessi”. Quindi, aveva aggiunto, “ci sono compromessi alti e compromessi bassi, ma la proposta della Commissione purtroppo non aveva consenso e maggioranza per poter passare”. Questioni procedurali, quindi. Mentre il Partito democratico, che con la sua astensione ha di fatto sconfessato il lavoro di Paolo Gentiloni, che ha proposto il patto, ha fatto sapere per bocca della segretaria Elly Schlein che “questo non è il Patto presentato dalla Commissione, in quanto sarebbe stato pesantemente modificato dagli Stati durante il Consiglio”. La verità l’ha centrata Gentiloni: “Immagino ci siano ragioni di politica interna. Per un giorno abbiamo unito la politica italiana”.

Il terzo importante avvenimento della settimana è stato il voto del Congresso USA che ha sbloccato, dopo mesi di stallo, un pacchetto d’aiuti internazionali e altri provvedimenti. Le misure prevedono 95 miliardi di aiuti per l’Ucraina (oltre 60), Israele (26, di cui nove per aiuti umanitari) e Taiwan e l’Indo-Pacifico (8,1), proposti a novembre dall’Amministrazione Biden e tenuti fermo dall’opposizione repubblicana. E il Pentagono s’è già messo in moto per accelerare gli invii di materiale all’Ucraina: non ci sono dettagli in merito, ma diverse fonti mediatiche indicano munizioni per artiglieria e sistemi di difesa anti-aerea, fra cui i Patriots. Sui missili a lungo raggio Atacms, c’è una clausola che permette al presidente di escluderli se ritiene che possano “danneggiare gli interessi nazionali americani”. Insomma, la vera notizia è che la guerra in Ucraina continua e con maggiore forza d’urto. E in Europa c’è già chi, come il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, rimette sul tavolo la necessità di strutturare un sistema di difesa comune. Un tema che probabilmente potrebbe rientrare nel dibattito elettorale in vista delle elezioni europee.