Nato, Mediterraneo e Pnrr

Occhi puntati sull’Occidente dove in settimana si è tenuto un evento internazionale più che degno di nota: il Summit annuale della Nato svoltosi a Vilnius, capitale della Lituania. I leader del mondo occidentale si sono riuniti in un uno dei più grandi appuntamenti post invasione russa, con l’intento di rafforzare l’asse Atlantico e rinvigorire la natura stessa dell’Alleanza. Un tema oggi più che mai attuale, soprattutto alla luce della guerra in Ucraina. Tra i partecipanti di spicco anche Giorgia Meloni, intenzionata a consolidare sempre più il suo rapporto con gli alleati come rivendicato ancor prima di insediarsi a Palazzo Chigi, schierandosi “senza se e senza ma” sulla linea del sostegno militare a Kiev, prima ancora di quanto avessero fatto i suoi alleati Lega e Forza Italia, allora nella maggioranza di governo che sosteneva Mario Draghi. Ma non solo, Meloni si è seduta al tavolo degli alleati con l’obiettivo di riorientare verso Sud la bussola dell’Alleanza: una nuova postura della Nato a “360 gradi” capace sia di tener testa a Putin sul lato Est sia di farsi carico delle minacce provenienti dal Nord Africa, della questione del Mediterraneo Allargato, del terrorismo di matrice Jihadista e dei mercenari della Wagner. In parte gli sforzi italiani sono stati ricompensati essendosi i 31 membri del patto impegnati in un maggiore investimento nella difesa e nella sicurezza del Mediterraneo, come si legge nel comunicato finale del vertice. Un impegno formale e vincolante che, infatti, dovrà produrre risultati tangibili entro un anno in occasione del prossimo vertice a Washington. Una vittoria importante quella incassata dalla Meloni per un paese come l’Italia che affronta quotidianamente il problema dell’immigrazione e la preoccupazione di una sua escalation illegale. Sul tema, la premier ha trovato una sponda nel presidente turco Recep Tayyip Erdogan con cui, non a caso, ha tenuto un bilaterale di circa un’ora a margine del vertice. L’impegno della Nato nel quadrante mediorientale e mediteranno è un passaggio chiave che incrocia gli interessi di Roma quanto di Ankara, soprattutto per quel che riguarda la Libia. Meloni sa infatti che la capacità di intervento e influenza che Erdogan ha sul territorio è fondamentale per facilitare le elezioni nel paese nordafricano, martoriato da un braccio di ferro tra le due coalizioni rivali, quella del Governo di unità nazionale (Gun) del premier ad interim Abdulhamid Dabaiba e quella del neoeletto Governo di stabilità nazionale (Gsn). Erdogan che, peraltro, ha fatto parlare di sé anche e soprattutto per aver dato alla vigilia dell’incontro il suo benestare all’ingresso di Stoccolma nell’Alleanza, dopo mesi di ostruzionismo. A sottolineare l’importanza del gesto anche il segretario generale Jens Stoltenberg che ha affermato come il completamento dell’adesione della Svezia alla Nato sia «un passo storico che giova alla sicurezza di tutti gli alleati in questo momento critico: ci rende tutti più forti e sicuri». Allargamento e difesa diventano, in estrema sintesi, le parole chiave dell’Alleanza.


Concentrandosi su Vilnius Giorgia Meloni  ha provato quindi a lasciare a Roma i problemi interni della sua maggioranza, dai casi giudiziari del Ministro del Turismo Santanchè, del figlio del presidente del Senato La Russa e del Sottosegretario Delmastro, alla riforma della giustizia fino ai ritardi sul Pnrr. Su quest’ultimo punto, in particolare, il governo italiano ha ufficializzato in settimana la richiesta alla Commissione europea di poter modificare dieci dei 27 progetti previsti dal Piano. Le modifiche, necessarie per ricevere la quarta rata da 16 miliardi di euro, in alcuni casi sono piccole correzioni, mentre in altri vere e proprie revisioni sostanziali, al momento al vaglio della Commissione. Considerando anche che l’Italia non ha ancora ricevuto la terza rata alla luce di alcune contestazioni formali, la situazione appare più che mai delicata. Meloni si è detta «ottimista» sulla chiusura del negoziato per la terza rata e sulle modifiche alla quarta, chiedendo alle opposizioni di non fare allarmismi controproducenti quanto piuttosto «di dare una mano». Ma nonostante le rassicurazioni date nelle ultime settimane, i ritardi e le discussioni tecniche sono motivo di grande preoccupazione per il governo, nella consapevolezza che da settembre inizia la fase operativa del piano che necessita dei finanziamenti. I soldi che tardano ad arrivare dall’Europa devono essere anticipati da chi porta avanti i progetti come governo, regioni e comuni.