Le agitazioni della politica

Il frangente politico che l’Italia sta vivendo è agitato. Agitato prevalentemente da tensioni internazionali. Gli equilibri cambiano e stanno richiedendo degli adattamenti della postura diplomatica e geopolitica del Paese. L’esempio più evidente è quello dell’uscita italiana dalla cosiddetta “Via della Seta”, il memorandum con la Cina che prevedeva investimenti cinesi nelle infrastrutture commerciali dei Paesi occidentali. L’atteggiamento conciliante del nostro governo è cambiato gradualmente negli ultimi anni, a partire dal secondo governo Conte fino alla stretta energica di Mario Draghi. La decisione della Meloni di uscire dal Patto mostra un cambio radicale di atteggiamento, in linea con quanto avvenuto nel resto dell’Europa, dove l’intesa da tempo era considerata sconveniente dal punto di vista economico e compromettente dal punto di vista politico.

Altro fronte di agitazione è quello interno alla maggioranza. Qui la sensazione è che si tratti di una tensione la cui intensità e direttamente proporzionale all’avvicinamento delle scadenze elettorali. Insomma, niente di preoccupante. Ma è ormai evidente che la Lega viva con una leggera insofferenza la leadership assoluta e moderata dell’asse Fratelli d’Italia-Forza Italia. Un’insofferenza che riaffiora ogni qual volta ci sia da puntualizzare alcune posizioni soprattutto nei confronti del suo elettorato. E qui insorgono le “agitazioni”, perché la Lega sa di essere l’unica forza politica interprete di quel sentimento critico verso l’Europa, che tanto infastidisce la Meloni, sempre intenta a rafforzare le sue relazioni a Bruxelles. Da qui le tensioni, culminate con l’ennesimo chiarimento tra i due leader ieri a Palazzo Chigi, suggellato dalla lettera di Salvini al Corriere della Sera. Una lettera criptica, che, sebbene tranquillizzi sulla tenuta della maggioranza, tuttavia non nasconde le divergenze interne alla maggioranza sull’assetto politico europeo. Una chiara chiamata alle armi per il suo elettorato in vista delle elezioni europee del 2024, il vero test di “midterm” per il governo Meloni, in cui la posta in gioco è molto alta per definire la leadership della seconda metà della legislatura. Le risposte della Meloni sono attese ad Atreju, il tradizionale appuntamento annuale del suo partito.

Tornando sul piano internazionale, è interessante notare l’atteggiamento degli Stati Uniti, in queste settimane concentrati anche sull’intensa campagna elettorale per le presidenziali 2024. L’inchiesta del Washington Post sulla controffensiva dell’Ucraina e sul suo tendenziale fallimento ha fatto discutere, soprattutto perché ha posto in evidenza la spaccatura dell’intesa tra Kiev e Washington. Divergenze tattiche militari, che avrebbero determinato una più alta lontananza politica tra i due governi. Il fallimento è stato pressoché confermato da tutti i soggetti coinvolti. E il presidente russo Vladimir Putin vi ha posto l’accento, affermando che “ la controffensiva è completamente fallita”. E forse questo momentaneo esito potrebbe essere legato all’apertura dell’altro fronte di guerra, quello di Israele, in cui gli USA sono decisamente più esposti sul piano politico ed economico.

Oltre che provare a ricucire una tregua, la diplomazia s’interroga su quello che sarà l’assetto della Striscia di Gaza dopo la fine della guerra. Gli Stati Uniti valutano quale sia l’opzione migliore “fra scelte tutte cattive”, scrive l’Ap: le preferenze dell’Amministrazione Biden vanno alla gestione della Striscia da parte di una “rivitalizzata” Autorità nazionale palestinese: la soluzione non piace per nulla a Israele e piace poco ai palestinesi, ma potrebbe anche rivelarsi l’unica opzione vitale.

La ripresa delle ostilità coinvolge la Cisgiordania, dove gli Stati Uniti chiedono a Israele di frenare le violenze dei militari e dei coloni e intendono negare il visto ai coloni estremisti; e pure il confine con il Libano, dove va avanti lo scambio di colpi – occasionalmente letale – con Hezbollah. I fremiti di guerra arrivano al Mar Rosso, dove missili sparati dai ribelli Huthi dello Yemen hanno colpito tre navi commerciali, mentre una nave da guerra Usa ha abbattuto tre doni in un’operazione difensiva. Gli Huthi hanno rivendicato gli attacchi, spiegando di voler impedire la navigazione nel Mar Rosso a navi israeliane.