Gli incubi del passato

La notizia ha irrotto in una routine settimanale piuttosto tranquilla: la seconda banca svizzera, la Credit Suisse, è crollata in borsa, ai minimi di sempre, con un calo del 24,2% a 1,69 franchi. E ovviamente ha innescato una tempesta di vendite sull’intero comparto bancario in Europa.

L’incubo Lehman Brothers, con tutto ciò che quel crac comportò a livello mondiale, è subito riaffiorato alla memoria. Ma facciamo un passo indietro.

La banca svizzera naviga in cattive acque già da tempo. Nel 2021 erano falliti i fondi speculativi Usa Archegos e Greensill, con un costo per Zurigo di oltre 6 miliardi di franchi (6,16 miliardi di euro). Da allora Credit Suisse ha cercato di fare quadrato con l’avvicendamento tra Thomas Gottstein e Ulrich Korner alla guida del gruppo e mettendo a punto una strategia di rilancio e di tagli, ma il 2021 si è chiuso con un rosso di 1,5 miliardi di franchi.

Poi martedì l’istituto ha annunciato che nel 2022 si è chiuso con una perdita di oltre 7 miliardi di franchi. E la conseguente dichiarazione del Presidente della Saudi National Bank, primo azionista della banca svizzera, ha fatto il resto: «Non inietteremo nuova liquidità in caso di ricapitalizzazione dell’istituto».

Il risultato? Nella sola giornata di mercoledì Milano ha perso il 4,61%, Londra il 3,83%, Parigi il 3,58%, Francoforte il 3,27%, mentre Zurigo ha limitato il calo all’1,87%.

Credit Suisse ha fatto sapere che si offre di riacquistare debito per circa tre miliardi di franchi e di assumere un’azione “decisa per rafforzare preventivamente la sua liquidità con l’intenzione di esercitare la sua opzione di prendere in prestito fino a 50 miliardi di franchi svizzeri”, circa 54 miliardi di dollari “dalla banca centrale svizzera. Questa ulteriore liquidità sosterrà le attività core e i clienti di Credit Suisse”. Nel frattempo i big del mondo finanziario si dividono nell’analizzare l’accaduto. Secondo Larry Fink, l’amministratore delegato del fondo americano BlackRock, quello che si sta pagando oggi è il prezzo di «decenni di denaro facile». Robert Kiyosaki, l’investitore che aveva previsto il tracollo di Lehman Brothers nel 2008, ritiene che «Credit Suisse sarà la prossima vittima». Mentre l’economista statunitense Nouriel Roubini afferma che «la banca è troppo grande per fallire ma anche per essere salvata».

Su Credit Suisse si è concentrata anche l’attenzione delle istituzioni e della politica internazionale. La Bce sta chiedendo alle banche di tutta Europa di comunicare la loro esposizione sull’istituto di Zurigo. La Premier Giorgia Meloni ha annunciato la massima attenzione del governo sui mercati finanziari, mentre il Primo ministro francese Elisabeth Borne ha chiesto alle autorità svizzere di intervenire direttamente. Per il governo italiano questa rappresenta una vera tegola, perché un eventuale crac dell’istituto svizzero potrebbe avere effetti dirompenti sulla nostra economia, principalmente perché le nostre casse, caratterizzate da un rapporto deficit/Pil fuori norma, espongono i nostri titoli pubblici alla speculazione.

Nel frattempo Palazzo Chigi lavora su più fronti. Giovedì il Consiglio dei Ministri ha approvato, tra le altre cose, anche il disegno di legge di delega al Governo per la riforma fiscale, destinato a incidere sull’intera legislatura. La stessa Meloni la definisce come una «svolta necessaria» attraverso la quale il Governo promette «crescita ed equità», costituendo un elemento chiave del programma della maggioranza «volto al rilancio strutturale dell’Italia sul piano economico e sociale». Tra i propositi del disegno di legge quello dell’impulso alla crescita economica e alla natalità, mediante la riduzione del carico fiscale, dell’aumento dell’efficienza della struttura dei tributi e dell’individuazione di meccanismi fiscali di sostegno a famiglie, lavoratori e imprese. Obiettivi ambiziosi per una riforma che intende «far ripartire l’economia e restituire all’Italia fiducia in se stessa» come ribadito dalla Meloni nel suo intervento oggi al congresso della Cgil a Rimini.