La politica cambia, le priorità restano
Le elezioni di domenica scorsa hanno rappresentato un redde rationem che forse segnerà l’inizio di un nuovo corso politico per l’Italia. Le premesse ci sono tutte. Un rinnovamento strutturale che partirà, sembra ormai chiaro, dal cambio di legge elettorale. Il Rosatellum ha rivelato nelle ultime ore tutti i suoi tricks, che hanno ampliato le sue criticità nel nostro sistema politico. Il risultato è che probabilmente si allungheranno i tempi del riconteggio e, di conseguenza, della formazione del governo. Ma il cambio di legge elettorale è scontato se cambierà anche la forma di governo. Questa legislatura, con la benedizione anche di nomi illustri della giurisprudenza, a cui giovedì dalle colonne del Corriere si è aggiunto anche Sabino Cassese, potrebbe essere quella che aprirà ufficialmente la Quinta repubblica, con la modifica dell’assetto istituzionale del paese in senso presidenziale.
Ma soprattutto sono destinati a cambiare i partiti. Fratelli d’Italia diventerà a tutti gli effetti un partito di governo, la cui anima militante sarà inevitabilmente rimodellata dall’arte della mediazione, con risultati che saranno tutti da valutare. Cambierà la Lega che, sebbene ci stia provando in tutti i modi, non riesce a nascondere un dibattito interno molto profondo incentrato sulla sua identità e, di conseguenza, sulla sua leadership. Cambierà il Movimento Cinque Stelle, a cui Conte sta riuscendo a dare un imprinting estremamente personalistico e con risultati incoraggianti: quell’anima partigiana edulcorata dalle maniere più “protocollari” di un ex Presidente del consiglio, che fa sembrare più verosimili e realizzabili le prerogative della base.
Ma soprattutto cambierà il Partito Democratico. Addirittura c’è chi preconizza la sua radicale scomparsa, per lasciare il posto a un nuovo spazio politico che venga occupato da una o più forze che riescano a intercettare quella domanda di progressismo che al momento non sembra soddisfatta. Il PD ha iniziato una fase di metamorfosi strutturale che al momento sta vivendo in modo frenetico, con autocandidature molto diverse l’una dall’altra – come se il problema fosse la governance. L’impressione, però, è che la rigenerazione riguardi innanzitutto l’anima stessa del partito, il suo posizionamento riguardo alle principali sfide della contemporaneità, la visione sul futuro, l’idea di paese che vogliono candidarsi a costruire. E in tal senso un po’ di sana opposizione non potrà fare loro che del bene.
Quello che non è cambiato, invece, sono le priorità, sul fronte interno e soprattutto su quello estero. Le ombre nell’Est Europa si infittiscono e generano ripercussioni molto gravi sui paesi occidentali. Le annessioni a Mosca di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhya, a seguito dei discutibili referendum, e la promessa dell’utilizzo di armi nucleari per difendere la sua “nuova” integrità territoriale, rivelano che la tigre siberiana non è sconfitta, tutt’altro. E la vicenda del sabotaggio del gasdotto nel mar Baltico è la dimostrazione che il conflitto è entrato in una fase nuova, forse più subdola e minacciosa. E questo richiederà grandi capacità strategiche e diplomatiche da parte dei player occidentali. Adesso, come auspica Antonio Tajani sul Corriere, serve un governo dalle spalle larghe. E tutto sommato non sarebbe così sbagliato riprendere il lavoro da dove si è lasciato.