Il vertice Ue chiarisce chi conta davvero in Europa
Si è da poco concluso a Bruxelles l’ultimo Consiglio europeo a cui ha partecipato la signora Angela Merkel in qualità di cancelliere della Germania dopo 16 anni vissuti da protagonista indiscussa della politica del Vecchio Continente.
Se lo shock da coronavirus aveva imposto ai paesi europei di uscire dal lungo torpore che li ha sempre attanagliati e financo paralizzato le mosse (come spiegare altrimenti un’iniziativa senza precedenti come il varo del recovery fund?), oggi la grande sfida per il futuro riguarda la capacità di rendere strutturale il forte attivismo multilivello sperimentato nell’ultimo anno e mezzo.
I leader dell’Unione Europea si sono incontrati per discutere di prezzi dell’energia, pandemia, migrazioni e soprattutto per affrontare il tema dello stato di diritto, complice naturalmente il dibattito in corso sulla sentenza dell’alta corte polacca che riguarda direttamente il tipo di forma che prenderà in futuro il progetto comunitario.
Contrariamente alle aspettative del fronte eurofilo, il vertice si è chiuso senza decisioni riguardo alla Polonia, “rea” di aver sfidato le istituzioni europee e il principio della supremazia del diritto comunitario. Sull’intransigenza invocata da Parlamento e Commissione ha infatti prevalso la linea del compromesso invocata per prima da Merkel stessa.
In questa fase la Germania non cerca lo scontro con la Polonia poiché non ha alcun interesse a fare dell’Ue un super-Stato ma soltanto a evitare che questa si scolli, mettendo a repentaglio l’influenza che essa le garantisce sugli altri paesi membri. In materia giuridica, poi, è bene ricordare che persino la Corte costituzionale di Karlsruhe ha da tempo specificato che sui diritti fondamentali non esiste una supremazia automatica del diritto europeo su quello nazionale.
Berlino vuole preservare la sua relazione con Varsavia anche per tenere sotto controllo la pressione migratoria ai confini polacchi orientali, in crescita affatto casuale dal Medio Oriente via Bielorussia, che aggiunge un altro ingrediente alla necessità di trovare rapidamente un compromesso. Da sempre la geografia impone ai tedeschi di guardare ben al di là del loro spazio domestico per intercettare potenziali minacce lontano da casa prima di ritrovarsele addosso: tra il Brandeburgo e il fiume Bug c’è solo pianura, dunque vuoto e assenza di barriere nella percezione teutonica.
Per queste ragioni il capo del governo tedesco ha sposato da subito la linea del dialogo con l’omologo polacco, con buona pace delle punizioni richieste invece da svedesi, olandesi e lussemburghesi con il sostegno (comprensibile) di una legione inferocita di eurocrati delusi. I secondi si battono a spada tratta per il primato del diritto comunitario proprio perché rappresenta uno strumento utile per contenere il primato dei paesi più grandi.
Oltre a chiarire chi conta davvero nel Vecchio Continente, la vicenda è interessante perché accentua l’antica divisione fra Europa occidentale ed Europa orientale. Delle tante e variegate faglie che ritagliano lo spazio dei Ventisette, questa è infatti una delle più profonde per essere sanate in tempi rapidi.
Oggi buona parte degli euroccidentali continua a scambiare per adesione spontanea ai valori liberaldemocratici l’entusiasmo con cui all’inizio del nuovo Millennio gli europei dell’Est si sono uniti al progetto comunitario dopo aver vissuto per mezzo secolo sotto al tacco dell’impero sovietico. Di qui l’accusa di leso europeismo mossa nei loro confronti da quanti non concepiscono che la loro priorità era e rimane il consolidamento dell’indipendenza conquistata. Sovranità dunque, prima ancora che libertà e diritti.
Così stando le cose, risulta difficile (per non dire impossibile) immaginare che questi popoli aderiscano di buon cuore e senza opporre resistenza alle parziali cessioni di sovranità che i popoli dell’Ovest concordarono dopo la sconfitta collettiva nella seconda guerra mondiale. Cosa che difatti si sta verificando puntualmente.
Inutile stupirsi allora se nelle capitali occidentali si parla di “Polexit di fatto”, quasi Varsavia si stesse estromettendo volontariamente dall’Ue quando invece non avrebbe (e non ha) alcuna convenienza a uscire. Il fatto che europei dell’Est e dell’Ovest abitano tempi e non solo spazi intimamente diversi è un equivoco destinato a perpetuarsi ancora a lungo.
Che al tempo stesso dice davvero tanto delle diverse percezioni di sé e degli altri che informano i popoli del Vecchio Continente.