Spunti di riflessione sulle amministrative
Domenica 3 e lunedì 4 ottobre circa 12 milioni di italiani si recheranno alle urne per eleggere i sindaci e i consigli comunali di 1.157 comuni. Fra questi svettano i principali capoluoghi di Regione della nostra penisola: Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna.
Pur trattandosi del più rilevante appuntamento elettorale in Italia dallo scoppio della pandemia, il voto non avrà ripercussioni sul governo del primo ministro Mario Draghi. Il contesto politico nazionale rimarrà sostanzialmente immutato fino al febbraio 2022, quando il Parlamento eleggerà il nuovo capo dello Stato. Sarà l’esito di quello scrutinio ad avere le maggiori possibilità di influenzare gli equilibri politici e di legislatura.
Nondimeno, il fatto di mettere in palio l’elezione dei sindaci delle cinque principali città italiane fa di questa tornata un test da non sottovalutare e di grande impatto simbolico per le varie forze politiche. Sul piano mediatico, difatti, il voto nelle grandi città ha da sempre un peso innegabile.
Per le forze del centrosinistra, per esempio, un’affermazione nelle grandi città sarebbe tanto più importante al fine di controbilanciare la narrazione secondo cui gli avversari del centrodestra partirebbero in netto vantaggio in un eventuale voto nazionale. Non è un mistero il fatto che in Italia il grosso degli elettori viva in comuni di piccole e medie dimensioni, dove tendono a prevalere gli orientamenti politici moderati e conservatori.
Al voto di domenica e lunedì, Partito democratico e soci partono da un vantaggio di 3 a 0 sul centrodestra, sicuri come sono di eleggere i primi cittadini di Bologna (Matteo Lepore), Napoli (Gaetano Manfredi) e Milano (Giuseppe Sala). Diverso il discorso per Roma e Torino, dove i candidati del centrodestra (rispettivamente, Enrico Michetti e Paolo Damilano) hanno maggiori (ma non soverchianti) chance di successo e la corsa sarà decisa comunque al ballottaggio.
Se a livello generale le linee di tendenza appaiono dunque piuttosto definite, la tornata elettorale del fine settimana offrirà comunque diversi spunti di riflessione. Gli sconfitti dovranno per esempio confrontarsi con la prevedibile tensione che segue l’insuccesso e che si farà sentire sia nei rapporti fra gli alleati che per quanto concerne la tenuta delle rispettive leadership.
Il primo punto da valutare sarà lo stato di salute della Lega, che dopo il trionfo alle Europee del 2019 sta attraversando una fase di declino. In questo senso il voto del fine settimana rischia di accelerare la resa dei conti fra il segretario Matteo Salvini e gli influenti governatori delle Regioni settentrionali, che ne contestano l’atteggiamento assertivo e battagliero ora che il partito ha assunto delle responsabilità nella coalizione di governo e deve comunque amministrare i territori più produttivi del paese. La diffusione di retroscena su eventuali scissioni dice molto a proposito delle tensioni che attraversano il campo leghista.
Un secondo punto di riflessione legato al precedente riguarda i rapporti del partito di Salvini con Fratelli d’Italia, per stabilire una volta per tutte chi conti di più nel centrodestra e capire concretamente che ruolo potrà giocare il partito di Giorgia Meloni quando in ballo ci saranno le elezioni (e i negoziati) destinati a dare all’Italia un nuovo governo. Oggi la forza d’opposizione gode di buona salute, ma deve fare i conti con la prospettiva di un fiasco elettorale di Michetti nella Capitale e considerare il fatto che in un domani potrebbe essere proprio il suo spiccato sovranismo a diventare l’ostacolo più ostico per concretizzare le sue ambizioni di governo.
Un terzo punto di riflessione legato alle performance del centrodestra alle comunali riguarda Forza Italia, che rischia di andare incontro al suo ultimo requiem. Tanto più quando la coalizione di cui è parte integrante ha perso i connotati dello schieramento a trazione moderata e liberale costruito negli anni da Silvio Berlusconi. E a maggior ragione viste le perplessità dell’ex cavaliere sulle leadership di Meloni e Salvini, per non parlare delle prospettive politiche dei loro partiti.
Un altro punto che merita una certa attenzione riguarda il risultato del M5s, che non farà registrare nessun exploit e che può considerare praticamente già perse Roma e Torino, le città che furono le due grandi sorprese del voto del 2016. Discorso opposto per Napoli, ma solo grazie all’alleanza con il Pd.
In questo senso il vero interrogativo da porsi è dunque se le comunali finiranno per accelerare (o meno) la prospettiva di un’alleanza strutturale fra il Movimento e i Dem, specialmente da quando i Cinquestelle hanno dovuto mettere da parte l’ambizione di diventare il terzo polo del panorama politico nazionale. Sotto questo profilo l’esito della corsa al Campidoglio e nel capoluogo sabaudo appare il banco di prova più interessante per valutare lo stato dei rapporti Pd-M5s e la praticabilità di una loro alleanza in vista delle politiche.
L’ultimo punto della nostra riflessione riguarda l’entità della vittoria del centrosinistra e il modo in cui questa finirà per impattare sugli equilibri interni del Pd. Non è un mistero il fatto che il partito di Enrico Letta (candidato a Siena per il seggio alla Camera lasciato vacante dall’ex ministro Pier Carlo Padoan) veda nelle amministrative uno snodo cruciale per confermarsi come il naturale punto di riferimento dell’elettorato moderato e avocare a sé il ruolo di forza pivotale nella coalizione di governo. Uno status irrinunciabile da far valere in vista di un passaggio cruciale quale sarà l’elezione del Quirinale.