Tunisi-Roma-Parigi, l’asse su cui si muove il Governo Meloni

La settimana politica si è aperta con due diverse visite di Stato degne di nota. La prima è quella che ha visto nella giornata di martedì il presidente del Consiglio Giorgia Meloni volare in Tunisia per un colloquio privato con il presidente tunisino Kais Saied. Il tema al centro del confronto è ormai noto: il piano da 2 miliardi di dollari che il Fondo monetario internazionale (Fmi) dovrebbe mettere a disposizione per risollevare le finanze ed evitare il default dello stato nordafricano, a condizione però che il paese si impegni nell’attuazione di riforme e fornisca maggiori garanzie democratiche. Anche in occasione del colloquio con Meloni, Saied ha ribadito a più riprese di non voler accettare i “diktat” imposti da Washington in quanto le «vecchie ricette del Fondo farebbero esplodere la situazione minacciando la pace in Tunisia con conseguenze in grado di estendersi a tutta la regione». Parole che sembrano risuonare come una minaccia soprattutto per quel che riguarda le possibili ripercussioni sul fronte migratorio. Una visita quindi, quella in Tunisia, che ha fatto discutere sia sul piano geopolitico sia su quello mediatico. Non sono mancate, infatti, le critiche da parte del centrosinistra verso il Governo, accusato di sostenere «un regime autoritario» che viola i diritti umani. Ma la Meloni sembra ancora una volta tirare dritto e schivare le contestazioni assicurando che la crescita della democrazia in Tunisia è indispensabile ma lo è anche la stabilizzazione del Paese, cruciale per l’Italia nel contrasto all’immigrazione. Ed è proprio su questa linea che la Premier ha annunciato il suo ritorno in Tunisia domenica insieme alla Presidente della Commissione europea von der Leyen e il Primo Ministro olandese Mark Rutte per aprire sul piano europeo a una cooperazione che serva ad aiutare la nazione in difficoltà.

Mentre Meloni era a Tunisi, tra critiche e acclamazioni, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è volato in Francia per l’inaugurazione della mostra “Napoli a Parigi” al Louvre con oltre 70 capolavori del museo di Capodimonte fatti dialogare con la collezione francese. Una collaborazione artistica e culturale che sembra prospettare un riavvicinamento tra i due paesi, suggellato da un abbraccio tra Mattarella e il presidente Macron, dopo le recenti tensioni bilaterali. L’Eliseo ha sottolineato il rapporto di personale «fiducia e amicizia» che intercorre tra i due presidenti oltre ai legami «eccezionali» che uniscono Italia e Francia. Se il senso della visita era quello di riaffermare l’amicizia secolare tra Roma e Parigi, al di là dei dissidi che i diversi governi possono avere nella gestione delle problematiche attuali, prima fra tutte l’immigrazione, l’obiettivo sembra ad oggi essere stato raggiunto. Ora non resta che attendere la visita di Meloni all’Eliseo, prevista prima della pausa estiva, per confermare il consolidamento dei rapporti e con l’occasione anche aggiornarsi in merito al “nuovo patto finanziario mondiale” che si terrà a Parigi dal 22 al 24 giugno.

Il tutto mentre la guerra in Ucraina sembra inasprirsi ancor di più: nella notte tra lunedì e martedì una forte esplosione ha distrutto parte della diga di Nova Kakhovka sul fiume Dnipro, liberando un’enorme massa d’acqua che da giorni sta inondando il territorio circostante, sia nella zona ancora ucraina, sia nella parte occupata dai russi, con conseguenze potenzialmente drammatiche. Al momento è difficile stimare con precisione l’entità del disastro umano e ambientale prodotto dall’inondazione, ma le previsioni del governo ucraino indicano circa 42 mila sfollati, di cui 25 mila nelle regione controllate dai russi. Nel frattempo, Mosca e Kiev si stanno accusando a vicenda per quanto accaduto, evidenziando l’interesse dell’avversario nel provocare la catastrofe. Nonostante questo, l’emergenza non fermerà di certo la guerra, anzi: le mine impediscono di efficientare le operazioni di salvataggio e l’artiglieria russa non si è arrestata un attimo. In una conflitto dove, in parallelo con i missili, anche la natura viene usata come un’arma, devastando case e mietendo vittime, la solidarietà non scavalca la linea del fronte. È tuttavia possibile che la tanto attesa controffensiva ucraina, ufficialmente in atto, possa risentire dell’inondazione dovendo, anche se solo in parte, avanzare nella zona attualmente allagata.

La guerra in Ucraina e le posizioni assunte intorno ad essa sono tornate inoltre ad essere al centro anche del dibattito politico interno, questa volta in relazione alla scelte del Partito Democratico e, soprattutto, della sua segretaria Elly Schlein. A destabilizzare i dem, questa volta, sono state le dichiarazioni del neo eletto vicepresidente della Camera Paolo Ciani, preferito dalla Schlein a Piero De Luca,  figlio del governatore campano. In settimana è avvenuto il passaggio di testimone, non senza destare scalpore. Ciani ha infatti riconfermato la sua posizione contraria all’invio di armi in Ucraina, non in linea da quella assunta finora dal PD e da quella professata dalla segretaria stessa. Sul tema infatti, Ciani ha dichiarato che «nel nostro popolo questa discussione c’è. Il partito può evolvere in nuove posizioni. Si può anche cambiare parere». Parole che, per chiari motivi, non sono piaciute all’area riformista del PD, già contrariata dallo spostamento di Piero De Luca. Sebbene Ciani parli a nome del suo partito, che di fatto non è quello democratico ma Demos, ciò che arriva all’esterno è una condizione di confusione, di disomogeneità e non allineamento nel principale partito del centrosinistra, anche sui temi più delicati. La sensazione di fondo è infatti che gran parte dei temi, proposte e riflessioni all’interno dei partito siano un volano per uno scontro fra anime e posizioni molto diverse fra loro. Un nodo che forse è destinato a complicare la prossima direzione nazionale del partito, convocata per il prossimo lunedì.