Il rebus delle riforme istituzionali
Lo aveva dichiarato già in campagna elettorale e ne aveva fatto uno dei pilastri della sua proposta politica: riformare l’assetto istituzionale dello Stato. Giorgia Meloni, così, ha deciso di dare seguito alla sua promessa, decidendo di inerpicarsi in un percorso ricco di insidie, su cui prima di lei più di un esecutivo si è scontrato con dure conseguenze politico-elettorali. Ma ha deciso, per il momento, di iniziare solo un dibattito con le forze politiche. Questa settimana si sono svolte le prime consultazioni e, come era prevedibile, le opposizioni si sono mostrate ostili. Dalla Schlein, che non ritiene necessario un processo di riforma in tal senso e che preferirebbe semmai concentrarsi sulla legge elettorale e su altri istituti per garantire stabilità ai governi, come la sfiducia costruttiva; a Conte, che pur condividendo le criticità sull’assetto dell’ordinamento non è d’accordo sulle soluzioni proposte e ha, anzi, presentato la formula del M5S articolata in 11 punti. E il Terzo Polo? Continua a comportarsi come una non-opposizione. L’approccio di Calenda, ormai uomo unico al comando dello schieramento centrista, è stato chiaro: che il dialogo abbia inizio, nessun Aventino, ma approccio costruttivo. Stesso approccio dimostrato nella votazione alla Camera sulla mozione del centrodestra relativa al mix energetico, che apre, di fatto, alla sperimentazione sul nucleare di quarta generazione. Anche in questa occasione la maggioranza ha potuto contare sull’appoggio esterno del Terzo Polo. Un’importante iniezione di fiducia per il governo, soprattutto in vista delle sfide future. Governo che si è dovuto, inoltre, districare in settimana tra un secondo giro di nomine e alcune vicende internazionali. Sul fronte nomine è stato definito il CdA Rai, il cui nuovo AD sarà Roberto Sergio, finora alla guida di Radio Rai, che prenderà il posto di Carlo Fuortes, e i vertici di Polizia e Guardia di Finanza, i cui nuovi capi sono rispettivamente Vittorio Pisani e Andrea De Gennaro (ancora non nominato ufficialmente, ma l’accordo c’è). Politicamente si è trattato di una nuova prova di leadership da parte della Premier, che è riuscita a scegliere, e “far scegliere” i suoi nomi, pur senza provocare strappi con gli alleati, nonostante qualche torcicollo. Sul fronte estero, invece, continua il “battibecco” con la Francia. Questa volta a gettare benzina sul fuoco è stata Stéphane Séjourné, segretario di Renaissance, che ha tuonato: «L’estrema destra francese prende per modello l’estrema destra italiana. Si deve denunciare la loro incompetenza e la loro impotenza. Meloni fa tanta demagogia sull’immigrazione clandestina». Ma la Meloni, sapientemente, non ha raccolto, dimostrando lucidità: «Credo che si utilizzi la politica degli altri governi per regolare i conti interni». Del resto il principale problema sul piano internazionale è un altro: la contesa con la Cina. E desta non poca preoccupazione. Da un lato la Cina che spinge per il rinnovo del trattato della via della Seta, di “Contiana memoria”, dall’altro gli USA, che per i rapporti attuali spingono per un’uscita dell’Italia dall’accordo. E Roma? Per il momento prende tempo: è un dibattito aperto, spiega la Meloni da Praga. Ma da questa decisione possono dipendere molti effetti, quindi è ovvio che si tratta di un materiale da trattare con estrema cura.
Tutto questo mentre inizia il tour del Presidente ucraino Zelensky in Europa, con la visita a Roma prevista nel weekend, con tanto di confronto con il Papa. Un viaggio importante, per allineare tutte le potenze Ue sulle richieste ucraine in vista della grande controffensiva.
Un weekend movimentato, insomma, quello italiano, animato anche dalla tornata elettorale delle amministrative. Si vota in circa 700 comuni. Un nuovo test per il consenso di maggioranza e opposizione. Un nuovo scontro a distanza tra Meloni e Schlein.