Intorno alla tragedia
Un profondo sussulto emotivo ha scosso l’Italia e permeato il dibattito mediatico-televisivo a seguito della scomparsa prima e della confermata uccisione poi, della 22enne veneta Giulia Cecchettin per mano dell’ex ragazzo Filippo Turetta. L’ennesimo femminicidio dall’inizio dell’anno secondo gli ultimi dati forniti dal ministero dell’Interno che dal 13 novembre stima siano state uccise 102 donne, 82 delle quali in ambito familiare e affettivo. L’onda emotiva di quest’ultima tragedia, oltre a impattare sugli umori, sulle riflessioni e sui comportamenti collettivi, ha condizionato inevitabilmente anche la scena politica. Con una votazione “lampo”, mercoledì il Senato ha approvato all’unanimità e in via definitiva il disegno di Legge sul contrasto alla violenza degli uomini nei confronti delle donne che era stato presentato diversi mesi fa dalla ministra per la Famiglia e le Pari opportunità, Eugenia Roccella. Al suo interno sono contenute diverse misure per rafforzare la cosiddetta “prevenzione secondaria”, ovvero tutelare le donne che hanno già denunciato una violenza subita o minacciata. Nelle intenzioni del governo e della ministra Roccella la nuova legge punta, infatti, a rendere più semplice l’applicazione delle norme già contenute nel “Codice Rosso” – cioè la precedente legge contro la violenza sulle donne in vigore dal 2019 – e a favorire la prevenzione, soprattutto con un inasprimento di pene e misure coercitive già esistenti. L’approvazione unanime del provvedimento; la telefonata tra la segretaria del PD Elly Schlein e Giorgia Meloni per concretizzare le loro promesse di collaborazione nel contrasto al fenomeno; la disponibilità delle opposizione a non presentare emendamenti al provvedimento per favorire un via libera rapido e l’apertura della maggioranza, dall’altra parte, ad approvare tre ordini del giorno presentati dal PD. Tutti segnali che hanno spinto il Ministro Roccella a parlare di una «bella pagina scritta insieme», di un «passo importante che testimonia e raccoglie l’impegno di tutti per fermare questa catena di sofferenza e morte» su un tema che impone un approccio bipartisan.
Nonostante le tante questioni interne, gli impegni sul fronte estero si fanno sempre più serrati per il Presidente del Consiglio Meloni che in settimana è volata a Berlino per partecipare al Vertice intergovernativo tra Italia e Germania, culminato con la firma del Piano d’azione su cinque settori strategici per il rafforzamento della cooperazione bilaterale e in ambito europeo. Durante la conferenza che ha seguito il faccia a faccia tra Meloni e Scholz è emersa una rinnovata sintonia tra le parti, che non si era vista in occasione dei precedenti incontri. Una vicinanza suggellata sul fronte della politica estera, dove il premier e il cancelliere tedesco condividono le medesime posizioni tanto sulla crisi in Medioriente che sull’Ucraina, prontamente ribadite da entrambi. Tuttavia, sul dossier più scomodo, quello del Patto di Stabilità, le posizioni sembrano ancora molto distanti e, per il momento, ogni mediazione appare molto complessa e sicuramente non definitiva.
Nel frattempo, un primo timido raggio di luce sembra intravedersi a Gaza dopo più di un mese e mezzo dallo scoppio della guerra. Annunciata infatti un’intesa fra Israele e Hamas, sotto la mediazione del Qatar e la spinta statunitense, per una tregua di almeno quattro giorni dai combattimenti, durante i quali dovrebbero essere rilasciati alcuni ostaggi e prigionieri, donne e bambini in primis. Contestualmente si prevede anche l’ingresso di ulteriori aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, dove da settimane continuano incessantemente i bombardamenti di Israele e la situazione è ormai giunta al limite, anche per via del drammatico stato delle infrastrutture mediche. Il Consigliere per la sicurezza nazionale israeliano, Tzachi Hanegbi, ha dichiarato che lo scambio di ostaggi, inizialmente programmato per giovedì, avrà inizio nella giornata di venerdì, sottolineando però come al termine della tregua la guerra sia destinata a ricominciare. A maggior ragione perché nessuna delle due parti si fida dell’altra: Israele si aspetta da Hamas provocazioni mentre i miliziani temono che l’intelligence dello stato ebraico possa approfittare della tregua per fare attività di spionaggio. Un accordo quindi fragile e lastricato di incognite, ma pur sempre un accordo che, dopo quarantanove giorni di guerra e quasi 15mila morti, lascia quantomeno intravedere uno spiraglio di dialogo e distensione fra le due parti.