Romanzo Quirinale

Il “romanzo Quirinale” è il nuovo best-seller della politica italiana a poche settimane di distanza dal voto che dovrà scegliere il successore del presidente Sergio Mattarella.

L’attuale capo dello Stato si è detto indisponibile al secondo mandato, gelando quanti speravano nella sua facile rielezione per consentire al governo di proseguire senza scossoni sino alla scadenza naturale della Legislatura nel 2023. Per Mattarella il secondo mandato di Giorgio Napolitano fu una forzatura costituzionale, dunque un unicum da non ripetersi.

Sul punto Mario Draghi non si è mai esposto direttamente. Al contrario, il capo del governo ha segnalato un’insofferenza crescente tutte le volte in cui politici e giornalisti lo hanno candidato di fatto al Quirinale e, con ogni probabilità, non scioglierà la sua riserva prima di fine dicembre. Questo perché ritiene che l’esecutivo non resisterebbe a una rottura del patto di maggioranza in occasione del voto sul Colle. Meglio prendere tempo, nella speranza che prima di allora gli alleati abbiano trovato l’intesa sul nome di un candidato condiviso.

Nell’attuale congiuntura italiana, con il paese avviato verso altri sei mesi di stato d’emergenza per fronteggiare la quarta ondata del coronavirus, buon senso vorrebbe che tutti i partiti – a cominciare da quelli che aspirano a guidare un governo anche dopo le prossime elezioni politiche – evitassero di infilarsi nel tunnel delle contrapposizioni parlamentari. Là dove a farla da padroni sarebbero i franchi tiratori e l’incontrollabile gruppo misto.

Con tutte le conseguenze del caso. La vista di un Parlamento balcanizzato sul nome del prossimo capo dello Stato annesso a un’eventuale implosione dell’attuale maggioranza di governo rischiano di annientare gli ultimi brandelli di credibilità di cui godono i partiti e, cosa ancora più grave, di esporre il paese ai venti dell’instabilità politica in un frangente ancora cruciale per la gestione dei fondi Ue e per la risoluzione della crisi sanitaria.

Soltanto il tempo dirà se questa consapevolezza saprà farsi largo nelle menti della nostra classe dirigente e a condurre i decisori verso più miti consigli. Nel frattempo impazza il toto-nomi, alimentato dal possibile rifiuto dell’ex banchiere centrale europeo per la possibilità di succedere a Mattarella. A quel punto scatterebbe il piano B, con annessa roulette di nomi e fuoco incrociato.

Romano Prodi ha pronosticato che la spunterà chi ha meno veti, non chi parte con più voti. L’ex primo ministro dei governi di centrosinistra ha aggiunto di non essere della partita per sopraggiunti limiti di età, dopo che nel 2013 divenne suo malgrado una delle vittime più illustri dei ben 101 franchi tiratori che ne impallinarono le ambizioni quirinalizie. Discorso opposto per il suo ex grande avversario Silvio Berlusconi, che vede nell’elezione al Colle la sublimazione della lunga carriera politica e anche la definitiva riabilitazione dopo gli anni delle inchieste e la decadenza dal Senato. Numeri alla mano le sue chance di elezione sono praticamente nulle: invece di essere king, ha spiegato Matteo Renzi, Berlusconi può ambire a essere king maker.

Nel toto-nomi di queste settimane c’è spazio per altri veterani della politica nazionale del calibro di Pierferdinando Casini e Giuliano Amato. Entrambi vantano una lunga esperienza politica e istituzionale, oltre che un profilo personale distante dalla politica di tutti i giorni.

Casini è stato eletto per l’ultima volta in Parlamento nel 2018 con il Pd dopo essere stato tra i fondatori del centrodestra. Un percorso trasversale che potrebbe valergli un sostegno diffuso, proprio come quello di cui gode Amato. Primo ministro nel 1992 e nel 2000, la candidatura dell’attuale vicepresidente della Corte costituzionale potrebbe rappresentare il nome di garanzia in grado di soddisfare gli attori più influenti dell’arco parlamentare al pari di quanto avvenne sette anni fa con lo stesso Mattarella.

Ma il 2022 potrebbe anche essere l’anno della prima donna eletta alla presidenza della Repubblica. Attualmente in cima alla lista delle preferenze ci sono i nomi di due figure apicali dell’apparato pubblico italiano. La prima è Marta Cartabia, ministro della Giustizia e presidente emerito della Corte costituzionale. Una figura istituzionale e di garanzia dunque, anche se con poca esperienza politica.

La seconda è Elisabetta Belloni, prima donna alla guida dei servizi segreti dopo essere stata segretario generale della Farnesina. Ambasciatrice e romana, Belloni rappresenta lo Stato profondo in Italia ed è considerata da sempre neutrale alle dinamiche dei partiti. Una candidatura teoricamente poco divisiva dunque, ma che per questo stesso motivo potrebbe faticare a imporsi nel gradimento dei grandi elettori.