Tra geli e disgeli

Questa settimana i riflettori del paese, e non solo, sono stati puntati su Parigi dove martedì si è svolto il più che atteso incontro tra la premier Giorgia Meloni e il presidente francese Macron, dopo mesi di relazioni diplomatiche alquanto complicate fra i due governi. Ufficialmente in Francia per sostenere davanti all’Assemblea Generale del Bureau International des Expositions (BIE) la candidatura di Roma a ospitare l’Expo 2030, il bilaterale tra i due Presidenti si è focalizzato sulla comune volontà di risanare le recenti tensioni innescate da Parigi. Ci si è concentrati quindi sulle questioni geopolitiche su cui i due leader sono più affini, a cominciare dalla guerra in Ucraina e dalla necessità di approvare la cosiddetta riforma del Patto di stabilità e crescita dell’Unione europea. Un vertice riuscito e molto concreto, a detta di Meloni, che ha mitigato le posizioni anche sul tema più spinoso, quello dell’immigrazione: «Mi sembra che la posizione chiesta dall’Italia di concentrarsi sulla dimensione esterna per affrontare la questione interna sia convergente. Abbiamo fatto importanti passi in avanti su questo dossier che diventa adesso strategico in vista del Consiglio europeo di fine mese. Per l’Italia è essenziale avanzare concretamente sulla cooperazione con i Paesi africani». Sul punto, è stato rafforzato in particolare l’asse franco-italiano sulla gestione della situazione tunisina e libica e su come circoscrivere l’immigrazione clandestina ab origine. Gli affettuosi abbracci “a favore di telecamera” sembravano indicare la scelta dei due Presidenti di voler usare il dialogo come metro e gli interessi nazionali come obiettivi portanti, sempre nella consapevolezza della realpolitik, che accomuna le strategie di due paesi che vantano un interscambio complessivo di circa 111 miliardi di euro.

E se all’estero si respira un’aria di distensione e di accordo, in Italia la maggioranza è inciampata sul decreto lavoro, prospettando, così come criticato dall’opposizione, una scarsa unità interna alla coalizione. Mercoledì, infatti, la commissione Bilancio del Senato ha bocciato il parere sugli emendamenti al Dl Lavoro presentati dalla relatrice Paola Mancini (FdI) per via dell’assenza di due Senatori del FI, Mancini e Lotito. Il provvedimento di bandiera del centrodestra ha dovuto quindi subire una battuta di arresto prima della nuova votazione avvenuta in serata. Un incidente «privo di qualsiasi valore politico, una tempesta in un bicchier d’acqua» per il Ministro Tajani; «un messaggio che un pezzo di Forza Italia ha voluto dare: se questo è l’esordio del dopo Berlusconi, la maggioranza rischia il caos» secondo il leader di Azione Calenda. Lo stesso caos di cui parla anche la segretaria del PD Elly Schlein, una prova di come la maggioranza non riesca a far approvare «gli emendamenti preparati all’ultimo minuto per mettere toppe ai tanti obbrobri contenuti nel decreto lavoro».

Tuttavia il partito della Segretaria non può certo vantare un’unità granitica, soprattutto non questa settimana. Schlein è stata infatti criticata da un pezzo importante del suo partito per aver partecipato sabato a una manifestazione “contro la precarietà sul lavoro” organizzata dal M5S a Roma. Nelle ore successive alla manifestazione si sono susseguite diverse dichiarazioni pubbliche da parte di esponenti di spicco del PD che hanno infine portato Alessio D’Amato, ex Assessore alla Sanità del Lazio, a dimettersi dall’assemblea nazionale del partito. Al di là dell’occasione specifica della manifestazione, l’evento ha fatto emergere in modo pubblico e concreto una spaccatura interna che esiste ormai da anni, ora accentuata da una presidenza “divisiva” come quella della Schlein, che si manifesta anche nel sostegno o meno all’alleanza con il M5S. Un punto che è stato trattato nel pomeriggio di lunedì, durante la direzione nazionale del PD, dove la Segretaria ha richiamato più volte a un senso di unità e solidarietà necessario tra i membri del partito: «Vanno bene le discussioni e le critiche, ma anche la lealtà sui temi che ci uniscono. Non mi dovrete mai convincere che la segretaria non basta da sola, l’ho detto io fin dall’inizio. C’è però bisogno di lealtà e rispetto, non a me come Segretaria ma al partito e agli elettori delle primarie».

A cercare di ritrovare un proprio equilibrio, dopo la recente scomparsa del leader Berlusconi, anche Forza Italia che nel pomeriggio di giovedì ha riunito il suo Comitato di Presidenza. Si terrà il 15 luglio il Consiglio Nazionale chiamato ad eleggere il nuovo presidente e solo in un secondo momento, nel 2024, verrà convocato il Congresso vero e proprio. In questa prima fase, sarà il Ministro Tajani ad assumere la guida del partito, come già anticipato nel pomeriggio da Licia Ronzulli. Il Consiglio del 15 sarà anche l’occasione in cui verrà formalmente assegnato a Fabio Roscioli, avvocato romano, il ruolo di tesoriere, al posto di Alfredo Messina. Si prosegue quindi, almeno per il momento, all’insegna della continuità, consacrando Tajani a garante dell’unità di un partito che ultimamente si era mostrato diviso tra la componente più moderata, che fa riferimento alla Ronzulli, e quella più governista che trovava il suo riferimento nell’asse Berlusconi-Tajani-Fascina.