Romanzo Quirinale, capitolo III: Draghi in campo

La tradizionale conferenza stampa di fine anno del presidente del Consiglio Mario Draghi ha arricchito di un nuovo capitolo il c.d. Romanzo Quirinale, grazie a un passo in avanti del premier destinato a restare scolpito nella storia della Legislatura.

Dopo mesi di criptico silenzio, il primo ministro si è sostanzialmente candidato a succedere al presidente Sergio Mattarella: «Il mio destino personale non conta assolutamente niente. Non ho particolari aspirazioni di un tipo o di un altro. Sono un uomo e un nonno al servizio delle istituzioni». Mai prima di ieri si era esposto così esplicitamente sulla possibilità del suo trasferimento al Colle.

Parole forti che hanno spiazzato i partiti, consci che l’ipotesi di eleggerlo al Quirinale può comportare l’apertura di una nuova fase d’instabilità politica. Con annesso rischio-rottura del patto di maggioranza e di rimessa in discussione degli equilibri fin qui faticosamente raggiunti, peraltro in un nuovo momento acuto della pandemia.

Fra i più preoccupati ci sono Lega e M5s. La prima sa di non poter resistere in una coalizione di unità nazionale guidata da un primo ministro che non sia Draghi – di qui i riferimenti del segretario Matteo Salvini all’autorevolezza assoluta e soprattutto insostituibile dell’attuale capo del governo. Il secondo è invece terrorizzato dallo spettro del voto anticipato e fatica ad accettare le rassicurazioni di chi, come appunto lo stesso presidente del Consiglio, sostiene che il governo possa comunque andare avanti indipendentemente dal profilo di chi lo guida.

Neppure per Forza Italia e Fratelli d’Italia è un matrimonio che s’ha da fare. Silvio Berlusconi rivendica di aver avuto l’intuizione da cui è nato l’attuale esecutivo e, cosa ben più importante, non ha ancora rinunciato a correre in prima persona per il Colle. Al tempo stesso, il fatto che Draghi abbia escluso le elezioni anticipate ha convinto anche Giorgia Meloni ad attaccare la conferenza stampa del primo ministro, cosa che non faceva da un po’.

Dal Partito Democratico filtra invece una delle posizioni più aperturiste nei confronti del primo ministro. Da una parte i Dem dicono di preferire la continuità dell’azione di governo incarnata da Draghi a Palazzo Chigi, dall’altra sanno di non potersi mettere di traverso a una sua elezione al Quirinale. Meglio optare per il gioco di rimessa dunque, visto che per disputare la finale c’è ancora un mese di tempo.

Intanto anche Matteo Renzi prova a ritagliarsi un ruolo nella partita, asserendo di non condividere quanto enunciato ieri da Draghi a proposito del fatto che la maggioranza di governo debba tradursi in una maggioranza per il Quirinale. Il capo di Italia Viva è uscito allo scoperto per avocare a sé il ruolo di king maker nella corsa al Colle, consapevole che i suoi elettori avranno un peso decisivo per stabilire se il prossimo capo dello Stato sarà più gradito al centrosinistra oppure al centrodestra.

Per avere la meglio su questa cacofonia di voci, ambizioni e paure, Draghi punta sul senso di unità dei partiti (se le forze politiche si spaccano sul Colle, è il suo ragionamento, è difficile che questo non abbia ricadute sul governo) e sul fatto che da presidente avrà la medesima contrarietà di Mattarella a porre anticipatamente fine all’attuale legislatura.

La sfida del prossimo mese, per Draghi, sarà esattamente questa. Convincere i suoi interlocutori che non esiste un altro candidato in grado di unire gli attori della politica e di essere eletto ai primi scrutini con una maggioranza amplissima che lo legittimi come il presidente di tutti gli italiani.

Certo non sarà impresa facile. Contro di lui, per esempio, remano le doppie agende dei partiti. Al di là delle dichiarazioni pubbliche di rito, Salvini potrebbe sfruttare l’occasione per sfilarsi dal governo e recuperare consensi passando all’opposizione; mentre persino Letta sarebbe tentato dalla possibilità di rimettere mano ai gruppi parlamentari passando per il voto anticipato.

Cosa ancora più rilevante, la presa dei leader sui rispettivi gruppi parlamentari è ai minimi storici. Tradotto dal politichese: prima di accettare l’elezione di Draghi al Colle, gli elettori vorranno la garanzia del nome di un nuovo primo ministro che scongiuri la fine anticipata della legislatura.

L’ultima grande incognita legata al passaggio di Draghi al Quirinale verte su chi avrà il difficile compito di succedergli a Palazzo Chigi mantenendo intatta la maggioranza e garantendo la continuità dell’azione politica del governo in fatto di vaccinazioni e di messa a terra dei progetti del Pnrr.

I candidati non mancano di certo, neppure fra le fila del governo. Ma un mese è lungo e in tempo di recrudescenza dei contagi non si può escludere a priori che le ragioni di salute pubblica del Paese non finiscano per prevalere sui sogni della politica.