Le prossime sfide dell’Europa

Nelle prossime settimane il Parlamento Europeo sarà chiamato ad esprimersi sui candidati alla carica di commissario. L’attesa è particolarmente sentita, soprattutto  considerando che il ministro Raffaele Fitto sta affrontando una serie di ostacoli nella sua corsa alla nomina come vicepresidente esecutivo della Commissione, con deleghe di rilievo sulle politiche di bilancio e di coesione. Uno dei principali problemi deriva dalla forte opposizione di alcuni gruppi politici europei, in particolare i Socialisti e i Verdi, che vedono con preoccupazione l’inclusione di un esponente dei Conservatori come Fitto in una posizione di leadership. Nelle riunioni e negli scambi di messaggi degli ultimi giorni tra i rappresentanti di questi gruppi è emersa non tanto una contrarietà nei confronti del profilo personale di Fitto, quanto piuttosto sull’effettiva compatibilità del suo approccio con gli orientamenti programmatici della Commissione. La nomina potrebbe quindi destabilizzare gli equilibri politici della coalizione pro-Ursula, che è stata eletta con il sostegno dei centristi e dei progressisti, ma non della destra, di cui il partito di Fitto – e della Meloni – fa parte. La leader Ue scioglierà le riserve sulle deleghe il 17 settembre e i prossimi giorni saranno cruciali per decidere se Fitto potrà ottenere la carica o se sarà necessario trovare un compromesso per mantenere l’equilibrio politico all’interno dell’Unione Europea. Il tutto mentre lunedì l’ex presidente della Banca Centrale Europea ed ex presidente del Consiglio Mario Draghi ha presentato il suo più che atteso rapporto sulla crisi di competitività dei paesi dell’Unione Europea, che gli era stato commissionato circa un anno fa dalla Commissione stessa. Volendo farne una sintesi estrema, il report propone di adottare un approccio europeo in vari settori che finora sono stati gestiti soprattutto dai governi nazionali seguendo logiche locali: la politica industriale, l’approvvigionamento di energia, la difesa, gli investimenti del settore pubblico e privato nell’innovazione. Ciò che più di tutto si evince dal documento è che la sfida per il rilancio della competitività è urgente e non rimandabile. Draghi sembra così suonare l’allarme: per diventare più produttiva l’Europa dovrà “cambiare radicalmente”, la produttività “è una sfida esistenziale per l’Ue”. 

In settimana gli occhi sono stati puntati anche oltreoceano dove martedì sera si è tenuto a Filadelfia il primo – e forse unico – dibattito presidenziale tra Kamala Harris e Donald Trump. La vicepresidente degli Stati Uniti sembra esserne uscita vincitrice avendo messo il candidato repubblicano sulla difensiva, contestandolo, tra le altre cose, per la gestione della pandemia e per le sue innumerevoli grane giudiziarie. Harris è riuscita nell’obiettivo di non essere associata ai risultati del presidente uscente Joe Biden e in generale ha mantenuto un tono equilibrato e istituzionale. L’ex presidente Repubblicano, al contrario, ha perso spesso la pazienza, non è riuscito a essere incisivo sui temi più problematici per i Democratici, su tutti quello dell’immigrazione. Uno dei temi principali è stato l’aborto, su cui Harris ha criticato duramente le posizioni di Trump, affermando che il governo non dovrebbe interferire con le scelte delle donne. Trump ha invece rilanciato teorie controverse, come l’accusa ai Democratici di voler consentire l’aborto fino al nono mese, creando confusione e facendo anche alcune gaffe. In politica estera, altro tema caldo, Harris ha accusato Trump di essere stato fin troppo accondiscendente con dittatori come Putin e Kim Jong-un, mentre Trump ha promesso che, se rieletto, metterebbe fine alla guerra in Ucraina negoziando direttamente con Putin e Zelensky. Anche i primi sondaggi post dibattito confermano l’ottima performance della Harris: secondo l’instant poll realizzato dalla CNN, il 63% di coloro che hanno visto il dibattito ritiene che l’attuale vicepresidente democratica sia stata più convincente rispetto al candidato repubblicano, preferito dal 37% del campione. Un rovesciamento netto rispetto all’esito del dibattito del 27 giugno, quando, sempre secondo l’indagine della CNN, il 67% di coloro che aveva assistito al dibattito considerava Trump il vincitore del duello contro Joe Biden. I giochi sono comunque ancora aperti e per quanto rilevanti questi dati non danno ancora nessuna panoramica sicura sul risultato del voto che da qui a poche settimane decreterà il nuovo presidente americano.